venerdì 17 settembre 2010

Intorno al laicismo - parte due: un'etica senza dio

L'Isegoreta (iii)

di Gennaro Jr. Di Napoli

"Ignoranza".
Di questo è spesso tacciato l'ateo, l'agnostico, il miscredente, il non-credente in senso lato. Pare inconcepibile ai più la possibilità di non credere in dio (si badi, "dio" sarà generico e interscambiabile con "dèi", in questo articolo) pur conoscendolo, più precisamente conoscendo cosa dicono gli uomini su di lui.
Ma che si sia atei dogmatici, increduli, teorici, avversari della religione o si sospenda il giudizio dichiarando "Non posso sapere", questo risulta indifferente nel momento in cui il teista convinto t'addita come ignorante, folle, irragionevole.
La mancanza di un pensiero non-credente unico è certo una risorsa ed un monumento alla libertà di pensiero, eppure quante volte le generalizzazioni degli "avversari" marchiano come dogmatico l'agnostico o l'ateo pratico? Sembrerebbe quasi che l'ignoranza sia in chi la sta biasimando in te.
Talvolta, assurdo fare generalizzazioni, questo atteggiamento da parte del teista, miscela di attacco preventivo e difesa ossessiva, è frutto di una percezione del non-credente come del demolitore della fede, quello che porta prove a sfavore dell'esistenza di dio, quello che critica a prescindere. Non è una descrizione che va troppo lontana dalla realtà, se lo si dice dell'ateo forte, che è forse l'unico che nega a priori e ad perpetuum.
Michel Onfray, scrittore e pensatore
ateo
Fonte: babelio.com
Ciò che viene percepito come intento distruttivo, negli altri casi, o è l'avvalersi del diritto di critica o l'affermare il proprio diritto ad esistere come non-credente. Ciò che è stato da sempre avvertito come una negazione (ce ne sono i segni nella parola a-teo), e in alcuni casi lo è stato, risulta oggi la conseguenza di uno sterminato assortimento di visioni del mondo. E, in quanto tali, di pari dignità sia tra loro sia se paragonate alle visioni religiose dello stesso. Esigono rispetto, attendono critiche, partecipano al dialogo del pensiero umano.
Non è raro ascoltare obiezioni mosse dal credente che presuppongono l'immoralità matematica del senza dio e dell'impossibilità di codificare leggi valide dello stesso, in assenza di un solido principio primo. Un ottimo modo per viaggiare indietro nel tempo fino al XVII secolo e ancora più indetro, in attesa che qualche fisico tracci la strada per l'industria cronoautomobilistica.
Siamo dunque ritornati al titolo dell'articolo, ha senso parlare di un'etica senza dio? Tralascerò tutte le elucubrazioni sull'incompatibilità tra dio e l'etica, non le condivido a pieno e di fatto non aggiungono niente al mio discorso. Rispondendomi da solo possi dire che sì, ha senso parlarne. Perché? Perché siamo lontani dalla profezia apocalittica della demolizione dei buon vecchi valori d'un tempo, c'è una quantità di persone che ha rinunciato a ricavare le proprie linee guida dalla parola di profeti, interpreti del Verbo o della stessa divinità. A prescindere dal fatto che ciò sia un atto di superbia o di razionalità.
Ma non far discendere le proprie linee guida e il proprio sistema di valori dal divino non equivale a vivere senza principi. Stabilire questa relazione è come dire che l'omosessualità porti alla pedofilia in base alla constatazione che alcuni pedofili sono omosessuali. Non metto in dubbio che anche riguardo l'etica e la moralità tra i non-credenti le visioni siano diverse, ma generalmente possiamo rintracciare alcuni elementi che vanno per la maggiore: solidarietà, giustizia, imparzialità, razionalità, libertà e condivisione.
La solidarietà, anche se non la desumiamo come prescritta dagli insegnamenti di una religione, fa parte della natura umana come adattamento evolutivo dell'uomo "animale sociale". Il lemure che si ferma per soccorrere il piccolo in difficoltà, rischiando di trovarsi diviso dal branco, prova compassione e dimostra il suo essere solidale nello stesso atto di soccorso.
La giustizia è un discorso meno evolutivo e più legato al pensiero umano. Oggi potremmo trovarne il senso nella rabbia che, chi più chi meno, si prova quando sono negati a sé stessi o ad altri i diritti umani.
L'imparzialità è palesemente frutto della storia, basta essere d'accordo sull'arbitro più adatto a servire gli altri principî di cui parliamo. La legge è un possibile arbitro, l'etica stessa può esserlo e anche dio non è da meno. La questione sta tutta nel rendere quest'arbitro convenzionale.
La ragione, imprescindibile per il non-credente almeno proporsi di far scelte razionali e non basate sull'opinione più in voga, specie se sospettabile di superstizione.
La libertà: pensiero, parola e azione devono restar libere nei limiti necessari a tutela di altri diritti che potrebbero restare dannaggiati da un'uso improprio di quelle.
La condivisione, elemento di cui l'etica non può fare a meno nel momento in cui sorge da un'analisi razionale della realtà. Essendo i mezzi di questa analisi in continuo sviluppo, l'etica, tramite la condivisione che è confronto, muta col contesto storico, la tecnologia disponibile e il livello di sviluppo della società (da non misurare su una scala verticale, ma con approccio comparativo).
Si può non essere d'accordo con la "Summa Atheologica" di Michel Onfray, ma resta il contributo indubbio che il suo lavoro porta al discorso di un'etica del senza dio, descrivendo come necessaria la fondazione di una nuova conoscenza, uno spostamento delle basi di politica e morale sul campo dell'immanenza e fondato sull'uso di ragione, filosofia, pragmatismo, utilità, edonismo individuale e sociale avendo come fine esclusivo l'interesse (il bene) degli uomini.

giovedì 16 settembre 2010

Cosa resterà di questo anno '80?

Le sei frecce (ii)

di Niccolò Fattori

La prima pagina del quotidiano
Hurriyet del 12 settembre 1920
Fonte: wikipedia.org
La prima pagina del quotidiano Hurriyet titolava "I militari hanno preso in mano il controllo". Era il 12 Settembre 1980.
La faccia sorridente del generale Kenan Evren cercava di rassicurare i Turchi riguardo alle intenzioni della nuova giunta: il paese era sull'orlo del tracollo, le continue notizie di scontri e proteste nei campus universitari facevano passare in secondo piano un'esponenziale crescita a tre cifre del tasso di inflazione.
Come la mise un mio compagno di corso: «Gli studenti dell'ultradestra ammazzavano gli studenti dell'ultrasinistra. Gli studenti dell'ultrasinistra ricambiavano». Si arrivò addirittura a fondare una repubblica sovietica sulle sponde del Mar Nero.
Di nuovo, come già dieci e vent'anni prima, nel '60 e nel '71, la mano pesante e sicura delle forze armate calava sulla politica, smantellando il sistema dei partiti ed imponendo a plebisciti una costituzione "affidabile" e blindata, probabilmente con la sincera convinzione di agire per il bene del paese.
La vita civile e politica della Turchia fu costretta dentro gli argini di un sistema monocamerale con sbarramento al 10% ed un pantagruelico premio di maggioranza che potesse garantire un parlamento docile, mentre le sinistre di ispirazione marxista si ritrovarono a subire una cortese demonizzazione, prima di essere poi cancellate a viva forza, e la galassia di cellule, partitini, partitucci, sindacati ed agitatori presto si trasformò in un ricordo di quei vent'anni tragici e confusi, tra un colpo di stato e l'altro.
Gli organici universitari subirono drastici rimpasti e rimescolamenti, mentre un programma di studi incentrato sulla "sintesi turco-islamica" cercava di insegnare ai cittadini di domani che l'unità della nazione (lingua, etnia, credo religioso), costituiva un valore indubbiamente superiore a qualsiasi ideale una fede politica potesse offrire.
Trent'anni dopo, i quotidiani Taraf e Star, espongono trionfanti in prima pagina: "Il popolo ha preso in mano il controllo".
Al posto dell'ormai impresentabile novantatreenne generale Evren, l'immagine di un signore barbuto che regge un cartello con scritto evet, turco per "sì".
La contrapposizione tra Evet e Hayir, tra Sì e No, è stata l'Evento cardine di questa lunga estate calda della politica turca.
L'AKP di Erdogan ha pazientemente costruito, in nove anni di vita ed otto di governo, il consenso popolare necessario a stravolgere la costituzione imposta dall'esercito, accreditandosi agli occhi della comunità internazionale come primo credibile interlocutore turco per l'ingresso nell'UE, riaprendo i negoziati con l'Armenia e riuscendo in un'inedita politica di flirt con Russia e Stati Uniti al tempo stesso.
Il Governo di Tayyip Erdogan, indomito politropo, forte dell'appoggio dei piccoli proprietari anatolici, della borghesia urbana scontenta dei vecchi partiti ed erede della mastodontica macchina propagandistica del Refah Partisi, il vecchio partito islamico, si è dato da fare per sgretolare l'edificio tirato su dai militari con la Costituzione dell'83. A poco a poco, i codici civile, penale e di procedura penale sono stati emendati per avvicinarsi alle controparti europee e soddisfare i criteri di Copenhagen, il "problema" curdo, che secondo molti turchi, non sussiste, è stato affrontato di petto, portando, almeno in una prima fase, a buoni risultati.
Ora, con l'ultimo referendum, la società civile turca sembra essersi lasciata alle spalle un retaggio dagli aspetti davvero neo-ottomani: corti diverse per civili e militari, diritti individuali subordinati alla volontà dello stato, e il totale dominio ideologico e culturale dell'establishment kemalista. E lo ha fatto in un modo piuttosto paradossale. Un partito radicato nel mondo islamico, il cui leader ha ripetuto in più occasioni che la Democrazia non è un obiettivo ma un mezzo per raggiungere la felicità (utilizzando il termine saadet, dalle pesantissime connotazioni religiose, che indica la felicità del regno di Maometto a Medina), ha fatto l'impossibile per avvicinare la costituzione ai modelli europei. Nel frattempo, il partito d'opposizione repubblicano e kemalista, che da statuto guarda a certi aspetti del mondo occidentale come ad un traguardo, ha remato contro con tutta la forza rimastagli dopo anni di logorante irrilevanza, impuntandosi su aspetti personali dell'operato del primo ministro e cavillando sul numero di giudici costituzionali rimasti dopo la riforma, sempre attento a rinfocolare il timore di una controrivoluzione religiosa.
Kemal Kiliçdaroglu, leader del principale partito di
opposizione, soprannominato 'Il Ghandi Turco'
Fonte: hurriyetdailynews.com
I Nazionalisti d'Azione del MHP hanno fatto campagna per il No, finendo per votare Sì, mentre i curdi del BDP (Partito per la Democrazia e la Pace), date chiare indicazioni di boicottaggio, hanno continuato a lamentarsi del mancato riconoscimento della questione etnica nel sudest.
Uno psicodramma durato tutta l'estate, che tra dibattiti, teorie cospirative, pianti ed isteria collettiva ha ottenuto nei mezzi di comunicazione uno spazio pari solo a quello dei Mondiali di basket.
Ma lo psicodramma è finito in tragicommedia, con il leader dell'opposizione repubblicana che non può andare a votare per problemi di registrazione, mentre Erdogan festeggia prendendosi un succo d'arancia con Bono degli U2, altra arma politica giocata dall'AKP, più baldanzoso ed in forma che mai.
Erdogan e gli U2
Fonte: medya.todayszaman.com
Ma nel concreto, cosa resterà di questi anni '80?
La società civile turca è sempre più divisa tra centro e periferia, laici e religiosi, burocrati e piccole imprese. Izmir e Kars.
La scuola, dopo essere stata nelle mani dei militari per due decenni, continua a sfornare gente dalla forma mentis omologata, incapace di farsi prendere da valori universali o semplicemente umanistici, le Università sono lottizzate e la simonia partitica dei rettorati è ancora una realtà innegabile.
Ma l'economia gira, la stabilità degli ultimi dieci anni ha attirato fortissimi investimenti stranieri e se per le strade è sempre più frequente vedere ragazze col velo, è perché si sentono sicure e non temono ostracismi. Nonostante le finestre dei ristoranti siano oscurate durante il Ramazan e le cheerleader ai Mondiali di basket siano state cacciate, gli standard di vita e l'apertura mentale dei turchi sono aumentati, e questo trend sembra destinato a continuare, almeno per un po'.
A trent'anni dall'infausto darbe, ormai, la Turchia si è lasciata alle spalle i momenti più bui degli scorsi decenni.
E di questo anno '80, alla fine, son rimasti solo brevi fotogrammi o treni in galleria.

martedì 14 settembre 2010

Intorno alla natura - parte uno: il concetto di "inquinamento"

L'Isegoreta (ii)
Gennaro jr. Di Napoli

L'Isegoreta oggi vi parlerà di qualcosa che è sulla bocca di tutti, ma che pochi comprendono. Sia chiaro che anch'Egli non è immune dalla difficoltà che ciò comporta, ma il Suo Ministero è quello di incuriosire e spiegare, non disdegnando l'inserire i propri commenti. Altro discorso è impartire lezioni accademiche: siano quelle compito degli accademici.
Inquinamento: questo cattivo ragazzo riesce a dividere come pochi. È secondo solo ad un (considerato generalmente) bravo ragazzo che detiene il primato del tear-making. Ma che cos'è l'inquinamento? Correntemente lo definiamo come l'insieme delle emissioni tossiche prodotte dalle attività umane che modificano gli equilibri chimico-biologici del pianeta con ripercussioni nefaste sulla biosfera. La definizione sembra piuttosto solida, ma nella stessa misura in cui un insetto-stecco sembra una pianta. E adesso arriva il senso di quel "biosfera" sottolineato: è intercambiabile con vita, anzi dire "vita" rende la definizione più agevole a comprendersi.
Bene, la maggior parte delle volte che diciamo vita, anche se parliamo di ambiente, natura e simili, usiamo un termine di gran lunga approssimativo. In realtà ciò che ci preme difendere e preservare sono: la specie umana, i mammiferi superiori, gli altri mammiferi, rettili, uccelli, anfibi, pesci, piante, insetti e azzardo i funghi. L'ordine è più o meno quasi sempre questo, ma poco importa. Purtroppo questa concezione presenta una grave lacuna: nessun riguardo per i microrganismi. Tanto non li vediamo. Si fa presto a parlare di plancton. Io mi sono fatto un'idea: lo consideriamo degno di protezione perché vi colleghiamo il nutrimento di altri animali, tra cui le povere balenottere azzurre. Aspetto con ansia che tra i commenti decine di voi mi smentiate, rimarcando il vostro genuino interesse per la flora e la fauna invisibile di terra e di mare, batteri latori d'infezioni e virus compresi. Comuque, per andare avanti nell'articolo mi occorre pensare che a nessuno importi di loro.
Ora che sappiamo quanto poco ci tanga la sorte dei "compagni di viaggio invisibili", cosa diventa la definizione da cui siamo partiti? Diventa l'ennesimo concetto antropocentrico. "Embé?" mi si dirà. Ecco, proteggersi da un inquinamento antropocentricamente inteso è dannoso almeno come non farlo (se non di più).
Sorvoliamo l'emisfero settentrionale, sotto di noi scorre prima il continente eurasiatico, un'immensa distesa dove gli ecosistemi sono lunghe strisce parallele stratificate in base alla latitudine, segue il continente nord-americano, dove la stratificazione è più o meno la stessa, ma l'effetto ottico è meno forte.
Avete visto le macchie? A macchia di leopardo migliaia di agglomerati cementizi, avvolti da cappe opache di varia grandezza, arterie grigiastre li collegano, milioni di scintillanti corpuscoli viaggiano incessantemente. Avete notato i sobborghi industriali? Migliaia di tonnellate di gas ogni anno. E questo è solo ciò che vediamo riversarsi nell'aria. Ma il nostro occhio ha molti limiti.
Dovremo preoccuparci di tutto ciò e di tutto il resto che questo breve viaggio non ci ha mostrato chiaramente? Sì e no. Mi spiego. Gli agenti inquinanti non sono inquinanti. Vi ricordate il DDT? Lo producono i crisantemi per difendersi dagli insetti. "Sì, ma il DDT stava avvelenando le colture, etc etc". È questo il punto, il DDT stava facendo danno all'uomo e a qualche altro grosso animale cui vogliamo bene, in particolare alcuni uccelli che hanno sfiorato l'estinzione. Per il resto, gli insetti avevano sviluppato delle ottime difese per fregarsene del mortifero composto e vi svelo un segreto: la maggior parte della materia vivente della terra s'era adattata o si stava adattando velocemente. Risultato? La vita aveva riassorbito il disequilibrio cambiando strada.
Ora sembrerò cinico perché non amo gli uccelli, ma vi prometto che entro la fine dell'articolo capirete la mia vera posizione.
Il DDT, uno degli insetticidi più usati di tutti
tempi
Fonte: us.oneworld.net
Come detto sopra il DDT, come praticamente tutto ciò che l'uomo produce, esiste già in natura. Ricostruiamo un momento la storia del crisantemo: inizialmente era il crisantemo e subiva le angherie degli insetti. Alcuni crisantemi svilupparono un insetticida, parecchi morirono prematuramente perché ne producevano troppo, altri invece riuscivano a uccidere molti insetti e ad autointossicarsi poco. Intanto gli insetti si munivano di difese, il crisantemo iniziò a migliorare il suo insetticida e così via all'escalation.
"Sì, ma il DDT è cancerogeno". Non è questo il punto, ma ci arriverò.
Altra notizia scottante: sapete qual'è l'inquinante che di più ha sconvolto la vita sulla terra? L'ossigeno.
Immaginatevi un mondo popolato da batteri anaerobici e alghe fotosintetiche. I batteri proliferano ovunque in quanto adattissimi alle condizioni di vita esistenti, lo stesso fanno le alghe con la loro strana alimentazione. Ma le alghe producono uno scarto dalla fotosintesi: ossigeno. All'inizio è talmente poco che i batteri nemmeno se ne accorgono e continuano indisturbati le loro allegre vite batteriche, per quanto possa essere allegro uno che si riproduce per scissione binaria. «BANG!!!», per citare un collega dal grilletto facile: la situazione precipita, l'ossigeno è troppo, si mette male per i poveri batteri. Fuggono via mentre la peste ossidativa si diffonde. Muoiono in tanti, alcuni di loro si rifugiano nei posti più impensabili. Ma almeno lì sono salvi. Ora il pianeta sembra più vuoto ma, prodigio, la prima cellula capace di respirare è già apparsa da tempo ed ora ha tutto lo spazio per moltiplicarsi, mutare, evolversi.
Probabilmente ci furono batteri che cercarono di ridurre l'attività delle alghe, ma quelle avevano sindacati e gruppi di pressione efficienti e riuscirono a portare avanti i propri interessi. E dire che sembravano così convincenti: "Scomparirà la vita dal pianeta", "Sarà la fine per tutti", "Anche voi ne subirete le conseguenze".
Il risultato lo abbiamo sotto agli occhi.
Ora però è arrivato il momento di tornare all'uomo, che non vuole fare la fine dei batteri anaerobici, evitandola anche ai suoi amici viventi: mi pare ne abbia tutti i diritti. E torniamo alle emissioni industriali: perché ridurle? Perché ci fanno male direttamente, dato che sempre più di noi vivono in città. Ma una volta che le avremo ridotte, vivremo in un nuovo giardino dell'Eden? Neanche per sogno. Ahimé, mentre mettiamo ordine in casa nostra, dobbiamo preoccuparci anche della casa d'altri. Soprattutto se questi altri vivono tra il 45° parallelo Nord e il 45° parallelo Sud. "Perché?" chiederete. Vi do un indizio: la Terra ha già fatto benissimo a meno delle attuali zone a clima temperato, come durante le glaciazioni, e non è detto che non sia intenzionata a ripetere l'esperienza. I punti cruciali per il perpetuarsi del fenomeno vita sulla Terra si trovano in quella fascia che ho su indicato.
E, paradossalmente, quelle zone sono le più soggette allo scempio della tecnologia arretrata. Quindi, mettiamo in sicurezza le nostre industrie e coltivazioni con tecniche sempre meno destabilizzanti ma, soprattutto, proteggiamo la fascia tropico-equatoriale. È quella la culla della vita, a prescindere da terraferma o acquemosse.
Parlerò adesso del mare. Nei libri di testo ci hanno raccontato che la vita è nata in acqua dal bollito idro-atmo-geologico. Ora prendete per buona questa frase e pensate al mare aperto come un enorme Sahara acquatico. Non sarete lontani dalla verità. La vita in mare è molto concentrata attorno a dei punti caldi, che sono nelle acque basse delle piattaforme continentali. Danneggiare quelle zone è forse peggio di dar fuoco a tutta la foresta amazzonica. Perché? Perché lì avviene la maggior parte dei processi che portano alla produzione d'ossigeno, alla rimozione di gas serra come anidride carbonica e metano dall'atmosfera, all'assottigliamento costante dello strato d'ozono che altrimenti si rivelerebbe altamente tossico (intanto l'ozono si rigenera grazie ad altri processi). Inoltre, cosa fin troppo sottovalutata, sono qui che avvengono i processi di desalinizzazione dell'acqua e il sale in acqua non è solo il cloruro di sodio delle nostre tavole. Infine, queste aree ospitano organismi che entrano in un ciclo biochimico che da solo vi convincerà dell'importanza della loro protezione: il ciclo dello iodio. Ebbene sì, lo iodio, quello del sale iodato. Il metabolismo dell'uomo, come quello degli altri mammiferi, è fortemente compromesso in sua assenza. Per un discorso evolutivo, se mancasse, potremmo adattarci, ma credo che non sia nell'interesse di nessuno morire in massa per fare il più grande esperimento darwiniano della storia.
Laminaria digitata, un'alga da non sottovalutare
Fonte: johnslfi.wordpress.com
Sempre riguardo questo prezioso elemento, c'è un genere d'alga, quello delle Laminaria, che rende lo iodio contenuto nell'acqua volatile, consentendogli di circolare a livello atmosferico: gran parte di questo viene distrutto dalla radiazione solare e da altri processi che lo riportano in acqua, ma il resto circola e si deposita su tutto il pianeta! Miracolo!
Ora pensate che le Laminaria sono molto apprezzate in quanto se ne sintetizza l'acido alginico, un polimero naturale utilizzato nell'industria alimentare e farmaceutica. Cosa succederebbe se l'uomo facesse partire su larga scala la lottizzazione e messa a coltura delle piattaforme continentali? Le probabili piantagioni, e si conosce l'amore per l'uomo per la comodità e l'efficienza della monocultura, potrebbero mettere a rischio altri cicli indispensabili per la vita oppure, selezionate le Laminaria solo in base alla capacità di produrre alginati, queste potrebbero smettere di volatilizzare lo iodio in ioduro di metile. Tutto ciò se le prime scorribande umane nell'agricoltura marina fossero condotte con tecniche paragonabili a quelle adottate nelle coltivazioni primitive che tutt'ora devastano le foreste equatoriali: brucia, semina, raccogli; brucia, semina, raccogli...
E qui veniamo al punto. È vero che non me ne frega niente degli uccelli uccisi dal DDT? Rispondo con un quesito: e se salvassimo gli uccelli dal DDT senza evitare la distruzione di tutti i possibili habitat a loro disposizione o, peggio, avendo generato una crisi simile a quella dei nostri sfortunati batteri anaerobici costretti in esilio?
Ditelo anche ai politici e agli attivisti che fanno massiccio uso di garze emostatiche (acido alginico).
Lieto fine: i batteri anaerobici sono felicemente tornati dal loro esilio in tempi geologicamente brevi. Ci sono quelli vecchi e tradizionalisti che vivono ancora negli ambienti estremi in cui si rifugiarono, altri, più avventurosi, hanno stabilito delle floride colonie negli intestini di tutti i viventi che lo possiedono con somma e reciproca soddisfazione. Si potrebbe dire che gli animali esistono per trasportare le loro colonie in giro per il mondo... altro che astronavi!

Il silenzio attorno ad Adro

L'isola (ii)
Nicola Bardasi

Gianfranco Miglio era un politologo ed un cultore di Carl Schmitt. Quello stesso Gianfranco Miglio è stato fondatore e padre nobile (anche se non so cosa voglia dire in questo caso) della Lega Nord. Cosa c'entri Umberto Bossi con Carl Schmitt è difficile da stabilire. Purtroppo Miglio è morto e quindi non posso andare a chiederglielo e, siccome non mi piacciono le sedute spiritiche, mi toccherà farmene una ragione. Dopotutto anche i politologi possono sbagliare, soprattutto quando escono dalla biblioteca ed entrano nel mondo. Io non condivido molti aspetti del pensiero di Schmitt, ma credo non sia per questo che non voto Lega Nord.
A Gianfranco Miglio è stata intitolata una scuola ad Adro, un comune governato da una giunta monocolore leghista. Quella scuola è pubblica, però è stata finanziata da alcune volenterose famiglie di imprenditori locali. L'hanno finanziata loro ma è nostra. È nostra ma l'hanno finanziata loro. Entrambe le affermazioni sono vere. È una verità bifronte, come Giano.
Da un'affermazione discende che possano arredarla come a loro par sia meglio farlo; dall'altra che lo Stato possa avanzare dei diritti sulla scuola di Adro perché i cittadini di Adro sono, fino a prova contraria, cittadini italiani, e quindi pretendere un certo tipo di mobilia ed arredamento, così come il rispetto delle leggi, dei programmi comuni approvati in tutta Italia per le scuole di ogni ordine e grado e di ogni regola che permetta lo svolgimento di una vita civile. Tutto semplice, dunque? Tutto così evidente? Tutto così lapalissiano? È davvero così facile dire che i leghisti non abbiano senso dello Stato e siano pure dei tangheri ignoranti, analfabeti istituzionali eccetera eccetera eccetera? Beh, non credo proprio.
E non perché la Lega sia uno dei partiti più votati (da quando in qua l'appoggio popolare certifica di per sé torti e ragioni?), né perché esista un asse di ferro tra Berlusconi ed un inesistente stato maggiore leghista (Mino Macari diceva che «se riesci a stare più di cinque minuti in compagnia di un cretino sei cretino anche tu»).
No.
Per una ragione, permettetemi di dirlo, più sostanziale. La Lega ha senso dello Stato e conosce l'alfabeto istituzionale, proprio perché vuole distruggerlo in un impeto dadaista. Ma lo fa perché a molti fa comodo che sia proprio quella gente a portare a termine il lavoro sporco.
È il silenzio delle forze parlamentari ad essere grave nella faccenda di Adro. Come se, a prescindere dal caso in cui non avessero ammobiliato la scuola con simboli leghisti, fosse normale che dei privati costruiscano per proprio conto una scuola, visto che l'Italia non è in grado di cacciare denari.
No.
Non è normale. È gravissimo. L'idea che ne esce è che il Paese sia un pranzo di nozze, una sorta catering appaltabile.
La scuola pubblica costruisce l'Italia. Se l'Italia viene mostrata come incapace di costruire scuole pubbliche è perché fa comodo pensare che essa stessa sia un bene che possa essere dato in comodato d'uso gratuito, più che uno Stato nazionale. E questo non fa comodo solo alla Lega e ai partiti di maggioranza.
No.
Fa comodo anche agli altri partiti parlamentari. Purtroppo è così. Se no non si capirebbe cosa stia facendo Napolitano di cosi importante da impedirgli di dire qualcosa sul tema, di ritorno alla routine dopo le meritate vacanze.
La volta scorsa avevo promesso la pars construens.
Eccola.
Danilo Oscar Lancini, sindaco di Adro
Fonte: 3.bp.blogspot.com
Il segretario del PD ha dichiarato che non sono un partito in pantofole. Bene. Prendano le sneakers o le scarpe da tennis e si facciano una bella corsa sulle collinette buone per il vino di Adro. Bersani ha problemi cardiaci e non sopporta il footing? Ci mandi Letta (sto scherzando, è un ologramma). Vadano lì e cerchino di capire come funziona quel mondo. Non aprano circoli. Ci stiano come naturalisti, osservatori, studiosi, come antropologi, come Darwin alle Galapagos, come Lorenz in mezzo ai cigni. Non si dica che non ne trarrebbero nessuna idea chiara. Nemmeno ora ne hanno e, perso per perso, tentar non nuoce. E poi magari il fresco fa bene. Un goccio di vino, una partita a scopa... tornano in mezzo alla gente. Sarebbe anche ora. I politici non devono fare chiacchere da bar? È vero. Chiaccherano da Lerner, non al bar. Ma magari se ci andassero sarebbe meglio. Non tutte le sere, ogni tanto.
Di Pietro, con qualche aiutino, potrebbe capire che se in gioco c'è lo Stato, ci sono in gioco anche i tribunali, visto che le manette e la giustizia non sono calze autoreggenti.
Fini dovrebbe sapere (dicono che sia intelligente) che i cinque punti proposti da Berlusconi possono essere votati o no ma che, comunque voti, dovrà potersi guardare allo specchio quando si rade la mattina.
Vendola potrebbe fare qualcosa di più che scrivere e recitare poesie. Pare che all'edicola di Adro venda di più La Gazzetta dello Sport che Ungaretti, anche se i sondaggisti sono discordi su questo. Se vuole competere per la leadership di qualcosa che ancora non esiste, prima dovrebbe costruirlo, e non mi pare che gli endecasillabi possano essere un muro portante.
E gli altri? Gli altri, tutti gli altri, possono discutere di quello che vogliono.
Non possono, però, negare che la questione principale è che un Paese va costruito giorno per giorno. La destra facendo la destra, la sinistra facendo la sinistra, il centro cercando di fare centro. Ad Adro hanno tanti difetti, magari non danno da mangiare negli asili, ma all'igiene dei sanitari ci tengono.

lunedì 13 settembre 2010

Troie

Il fucile (ii)
Gian Piero Travini

Giorgio Clelio Stracquadanio, deputato PDL direttore della rivista on-line Il Predellino, stuzzicato da Klaus Davi, fornisce questo nuovo corollario all'intervento dell'onorevole Angela Napoli a proposito dei criteri di selezione delle onorevoli in quota PDL: «Se anche una deputata o un deputato facessero coming out e ammettessero di essersi venduti per fare carriera o per un posto in lista, non sarebbe una ragione sufficiente per lasciare la Camera o il Senato».
E scatta il panico liberal-chic e del bel pensiero, deprecando l'uscita "infelice" del fedelissimo berlusconiano, scindendo ancora una volta il Paese tra puttanieri e morigerati. Ora, come al solito, qualcosa non mi torna.
Di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di pompini? Di dar via «un gaio cesto d'amore ch'amor non è mai», per non parlar della virtù posteriore, dato che il direttore insinua il sospetto che la "meritocrazia del lavoro di bocca" sia unisex? Stiamo parlando di prostituzione politica? Bene: parliamo di figa, quindi, e contemporaneamente parliamo di politica… Bizzarro, ma anche De Andrè e Paolo Villaggio lo avevano previsto in Carlo Martello: dunque m'adeguo.
on. Giorgio Stracquadanio, direttore de Il Predellino
Fonte: stopthecensure.blogspot.com
Quello che Stracquadanio dice è senza dubbio lo specchio di una realtà per ora imprescindibile. I parlamentari devono necessariamente rendere conto al partito dei ruolo comportamenti, compresi quelli tenuti durante e dopo la stesura del "contratto" che hanno siglato nel momento in cui sono stati inclusi nelle liste elettorali. Ovviamente non parliamo di un atto notarile vincolante, ma senza dubbio, se hanno da rendere conto, devono farlo al partito che fornisce loro una certa somma di preferenze incassate nel momento delle elezioni. Questo passaggio è fondamentale: il popolo elegge il partito che esprime una determinata lista elettorale, redatta secondo criteri interni al partito stesso. Il mandato popolar-parlamentare non è diretto. Dunque non è agli elettori cui l'eletto debba render conto nell'eventualità che abbia ingoiato cazzi (politicamente parlando o meno) e, spiace dirlo, nemmeno al resto del Parlamento. Che sia "meritocrazia del lavoro", "meritocrazia del lavoro di bocca" o scambio clientelare, non è di competenza di nessuno oltre che del partito stesso valutare provvedimenti. E, anche lì, non esiste regolamentazione realmente ferrea in questo. Non a caso vengono eletti parlamentari da partiti nonostante non abbiano la tessera di questi partiti. Si sperava che dopo la Prima Repubblica il concetto di "clientelismo" venisse abbattuto, e con l'avvento di Berlusconi, "cliente" di se stesso, pareva che qualcosa fosse veramente cambiato. Il porcellum ha stravolto tutto. Ma qui ci stiamo allontanando dalla figa, e non voglio che dobbiate ricorrere al viagra per tornare ad eccitarvi. Da buon fluffer quale sono, quello è compito mio.
Il problema sollevato da Angela Napoli non è una novità. Il primo grande distinguo all'interno del PDL avvenne quando una delle voci più indipendenti di FareFuturo, quella di Sofia Ventura, si alzò per denunciare i bizzarri criteri di scelta delle candidate nelle liste elettorali del partito alla vigilia delle elezioni europee. Ma, al di là delle facili strumentalizzazioni anti-berlusconiane, seguenti a quello che a distanza di tempo possiamo definire "momento zero" dello smarcamento finiano, non è stata colta l'opportunità che la speculazione di Sofia Ventura poteva fornire: quella della ripresa del dibattito, in tempi non sospetti, sull'introduzione dell'uninominale.
Perché le Finocchiaro di turno possono fare la voce grossa, ma senza elezione diretta dei rappresentanti, non c'è possibilità di domandar conto a chiunque degli eletti del suo operato. Che sia cinquanta per la bocca e cento per l'amore o qualsiasi altra prassi d'entrata nelle liste elettorali. «È una schifezza» è la stigmatizzazione ferocissima e piccatissima della capogruppo del PD, cui fanno eco altri a breve distanza. È troppo chiedere che, dopo un divertissment voyeuristico, si torni a parlare di politica?
Ma ancora qualcosa non funziona.
Seguo con attenzione il lavoro dell'onorevole Napoli, in prima linea da sempre contro la "cappa grigia" delle mafie silenziose e della ‘ndrangheta. Una delle poche persone che a livello nazionale sembra ricordarsi della notevole arretratezza calabrese a proposito di lotta alla criminalità e del pericolo che un simile calderone potrebbe rappresentare.
Un vero mastino dell'Antimafia, se mi è concesso, incappata però nel giochino di auto-destabilizzazione di una maggioranza labile, nelle logiche del gruppo di finiani cui ha aderito che, a loro modo e con ragioni eticamente più interessanti, scimmiottano le campagne di bombardamento di comunicazione obliqua del Sultano.
on. Angela Napoli, deputata di Futuro e
Libertà per l'Italia
Fonte: angelanapoli.blogspot.com
Se la mia retorica fosse quella del cane censore, ora farei notare che Angela Napoli è entrata in quota PDL in Parlamento per la sua quinta Legislatura ben sapendo chi sarebbero state le sue compagne di lista. Eppure non sollevò scandali, all'epoca. Un po' come il passante che vede il cliente far salire in macchina la mignotta e fa finta di non vedere. Come mai se ne ricorda solo ora? Questo se volessi giocare al rimpiattino del "silenzio assenso". Ma, egualmente, do atto all'onorevole Napoli di non essere stata mai iscritta al PDL e, anzi, di aver dato immediatamente voce al suo disagio all'interno del partito non partecipando alle elezioni Regionali del 2010, in perfetta linea con l'attenzione che voleva sollevare sulla situazione tragica della criminalità in Calabria. Inascoltata.
Ma quando si parla di figa, l'attenzione di tutti s'accende. Probabilmente l'onorevole doveva buttarla sul pecoreccio a marzo, quando ben che era da ascoltare, comprendere e portare alla ribalta. E mi riprometto di proporle un spazio, all'interno di questo blog, se volesse raccontarci le storie importanti della realtà calabrese.
Non sto a fare un processo alle intenzioni. E non voglio dedicare parole alle banalità su cui si sta ciacolando, ma voglio rilanciare ora un dibattito per nobilitare la pochezza delle righe che vanno in stampa in questi giorni: la prostituzione fisica fa più paura della prostituzione intellettuale? Allora si torni all'uninominale e si studino criteri di controllo sulle commissioni di selezione degli eletti. E chiudiamo queste storie di merito o non merito.
Ma, fra tutti quelli che si sono espressi, qualcuno ha perso una buona occasione non tanto per tacere, quanto per parlare. La "politica del cancro" è anche questo: fermarsi alla sterilità del commento ad effetto e non compiere ricerca per elevare l'argomento cui si sta tendendo.
In questo caso, prendo il direttore di Generazione Italia, Gianmario Mariniello, che commenta con alacre sapidità e buon sarcasmo l'intervento del direttore de Il Predellino: «Ci verrebbe da riprendere il grande Corrado Guzzanti e il suo famoso sketch, quello de "siamo nella Casa della Libertà e facciamo un po' come cazzo ci pare". Ma visto che potrebbero accusarci di flirtare con il "compagno" (ma simpaticissimo... ) Guzzanti e visto che siamo in una fase di difficoltà economiche, ci limitiamo al liberalissimo "basta che paghino le tasse».
Invece di "limitarsi", Mariniello dovrebbe usare meno l'aggettivo "liberalissimo" e provare a trasformare il fango sterile in oro della discussione, dato che ne ha i mezzi e l'opportunità politica. Magari ricordandosi che lui la tessera di quel partito che elegge troie ce l'ha ancora. E, questa volta, lo dico molto tranquillamente, pare anche lui uno dei famosi passanti che non vedono fino a quando si ricordano di aver visto.
A loro, preferibile il prete che di notte porta alle prostitute il the caldo e i preservativi.
Non cambierà le cose, ma almeno non specula.
BANG!!!

domenica 12 settembre 2010

Il cancro di Cassandra

Il fucile (i)

Gian Piero Travini

Eugenio Scalfari, dalle colonne di Repubblica (potete leggere l'intero editoriale 
qui), pone alcune cruciali questioni sulla situazione del governo italiano, che lui furbescamente definisce un «teatro di pupi», quando in realtà è difficile pensare che ci sia veramente qualcuno che li manovra. Difficile ma non impossibile, m'azzarderei ad aggiungere.
Le domande che Scalfari pone sono le seguenti: «Accetterà [Silvio Berlusconi, n.d.G.P.T.] di essere cotto a fuoco a lento per due anni e mezzo? E come reagirà l'opinione pubblica, le categorie sociali più colpite dalla crisi, i giovani, le forze politiche d'opposizione? Come reagirà la Lega che scalpita per incassare l'incremento di voti tolto nel Nord al Pdl?».
E adesso voi direte che darò io le risposte alle domande di Scalfari.
No.
Non ho queste risposte. Non ora che ho appena incominciato l'articolo... Le avrò alla fine dell'articolo, lo garantisco. Ve le darò. Ma, ora come ora, non ne ho la più pallida idea.
Però inizio ad accorgermi di qualcosa.
Non lo sentite, tutto intorno a voi? Non lo sentite il vento del cambiamento?
No. Non lo sentite.
Pierluigi Bersani, alla festa del 
PD di Torino
Fonte: l'Unità
Non lo sentite perché il cambiamento prevede almeno un'alternativa: l'alternativa sono le "cassandre" e i fumogeni. E alle "cassandre" i fumogeni piacciono poco. Non piacciono nemmeno a me, ma per come sono stati lanciati, mi sembrano dannatamente sinceri: e, dietro la sincerità, c'è sempre un velo di importanza. Tolti i fumogeni, perché non è un caso se Cro-Magnon ha battuto Neanderthal imparando a fischiare e non gettando pietre come il cugino meno evoluto, rimangono le "cassandre". Che, instancabilmente, continuano a ventilare cambi di maggioranza, governi tecnici, riforme elettorali e, adesso, anche proposte di carattere elettorale. Coerentemente, il passaggio successivo per sperare che la profezia del cambiamento si avveri è quello di mettere sul piatto le componenti del cambiamento. Pierluigi Bersani, stranamente convinto di essere un leader di partito, chiude la festa del PD a Torino regalando pillole di buon governo: bando di gara per le frequenze liberate dal digitale terreste e, dopo l'incasso, investimento del medesimo sull'istruzione; spostamento dell'aliquota del primo scaglione in maniera che torni più bassa rispetto ai redditi da finanza e da patrimonio, rilancio di «una Maastricht della fedeltà fiscale per metterci in 5 anni nella media europea. Ciò significa 40-50 miliardi di euro con immediato alleggerimento sul carico fiscale di lavoro impresa e famiglia e con un margine di risorse e per investimenti. Con un fisco così si puo fare equità, giustizia e occupazione»... qualsiasi cosa significhi, ovviamente: sospetto si tratti di un testo di Manlio Sgalambro, ma rimane comunque molto criptico. Insomma, Bersani conferma che il PD non solo è un «partito di governo momentaneamente all'opposizione» ma anche che non è «un partito fatto di gente con pantofole, ma presto si accorgeranno che abbiamo scarpe e scarponi»: ora da stabilire chi tra di loro insegnerà ad allacciarsi le stringhe agli altri. Perché dovranno essere nodi tosti se il futuro del principale partito di opposizione è quello del "doppio cerchio", come l'ha definito a Ferrara il 26 agosto proprio il bettolese, ovvero un "nuovo Ulivo" che riassorba tutte le anime del PD che sono sfuggite dal giorno dopo la sua fondazione, inscritto in una "santa alleanza" anti-Berlusconi, a prescindere dall'esistenza o meno di patti elettorali. Due voci fuori dal coro: il candido W. che piagnucola, abbandonato da Fassino, sulla fondamentale importanza del bipolarismo come un bimbo cui tutti dicono che rimpiattino è passato di moda e va meglio farsi di colla; e Fioroni, sempre più solo nella landa desolata della moderazione, spaccando in due anche la corrente della Quarta Fase, dato che Franceschini pare star dalla parte di Bersani. Tace dopo un paio di uscite infelici Democrazia Davvero della Bindi.
In questo scenario, torniamo alla MIA domanda, perché sto ancora pensando alle risposte da dare a Scalfari.
Non lo sentite, tutto intorno a voi? Non lo sentite il vento del cambiamento?
No. Non lo sentite.
Non lo sentite perché non basta dire di essere un'alternativa per essere un'alternativa credibile... Che poi... "credibile"... Basterebbe solo essere un'alternativa e già si sarebbe a metà dell'opera.
L'alternativa è il cancro.
«Avevamo un cancro [Fini e i finiani; n.d.G.P.T.] all'interno che ci avrebbe prima o poi ammazzato politicamente. Saremmo finiti se non avessimo riguadagnato una chiarezza ideale, la forza di vedere il compagno come un amico e non come il nemico, come è stata la nostra vita quotidiana per sei mesi».
La fonte di questa splendida metafora, saggiamente ritirata il giorno dopo, è del senatore pidiellino e professore di Storia dei partiti politici presso la LUISS di Roma Gaetano Quagliariello. Perché se dico solo senatore pidiellino, magari qualcuno pensa che non sappia di cosa sta parlando. Invece lo sa, e molto bene.
Dove sbaglia, però, Quagliariello? Sbaglia nell'istologia.
Un mitocondrio

Fonte: corriere.it
Il cancro è una cellula mutante che ne infesta delle altre e va rimossa. Fini non è un mutante. E' semplicemente un corpuscolo che si è trovato costretto perché in netta minoranza ad entrare nel corpo, per poi uscirne non appena ha trovato di essere abbastanza importante per avanzare richieste. E' un endosimbionte. Come il mitocondrio: secondo la teoria endosimbiontica, il mitocondrio, attualmente corpuscolo cellulare atto alla respirazione della cellula stessa (e a molte altre funzioni), ancestralmente era un batterio dotato di metabolismo ossidativo, inglobato dalle cellule eucariote con reciproca soddisfazione. Fini è come un mitocondrio che decide di uscire dalla cellula. E' entrato nel PDL per diventarne il futuro, e il PDL lo ha accettato per usufruire della base circolare di AN... ora nessuno dei due ha interesse nel continuare la vita simbiontica, poiché i berluscones si sono presi i circoli e Fini non è più il futuro del PDL, e il mitocondrio torna a vivere da solo. La cellula Fini non è mutata perché era già diversa sin dall'inizio. Con un suo DNA. Con i suoi ribosomi (le varie fondazioni)... è natura. E' scienza. Politica.
Ma Quagliariello qualcosa ha intuito. Si parla, in questi tempi confusi, di cancro.
La "politica del cancro".
Il PD e il PDL sono come i due medici messinesi che si menano per decidere della sorte del bambino che sta nascendo. Tornando alla nostra metafora, sono due oncologi che si picchiano per decidere con quale terapia curare il paziente.
Il paziente siamo noi. La "politica del cancro" ci sta uccidendo. Ci sta uccidendo per due ragioni: il PDL focalizza il concetto di "governare" con la "legittimità a governare", compiendosi in sé stesso come il proprio leader. Il PD focalizza il concetto di "governare" con lo "stare all'opposizione" e, tra l'altro, tutti e due partiti sono assolutamente fieri di queste brillanti condotte: poco tempo hanno ancora, poiché a breve si riapriranno i lavori alla Camera. E vedrete che il silenzio tornerà. Perché qualcuno sta governando, ma a questo punto inizio ad aver ben chiare le risposte da dare a Scalfari, quindi bisogna che concluda molto velocemente, altrimenti mi dimentico.
Mentre gli oncologi delle Libertà e le cassandre Democratiche si concentrano sulla "politica del cancro", facendo biopsie o vaticini nelle interiora, guardando comunque ad altri, qualcuno sta governando. E, mentre quel qualcuno sta governando, Gianfranco Fini nel ruolo di Egisto attende di mettersi d'accordo con Francesco Rutelli nel ruolo di Clitemnestra per far fuori Agamennone, il padre padrone del bipolarismo. E le "cassandre" si fregano le mani, non ricordandosi di che fine fa la sciroccata veggente nella tragedia di Eschilo.
La "politica del cancro" è imprevedibile: l'unica speranza è che i dottori si siano sbagliati a diagnosticarcelo e siano loro ad uccidersi a vicenda, con tutta la radioterapia che ci stanno facendo.
Ora, le risposte.
Silvio Berlusconi non si pone il problema di essere cotto a fuoco lento: non è lui a governare dal giorno in cui il suo popolo lo ha tradito. Dal giorno del Duomo volante. E nessuno ha ancora avuto il coraggio di dirlo: l'attacco all'immagine fisica di un leader costruito sull'immagine è la fine del suo regno. E chi sta governando in Italia non si è lasciato scappare l'occasione.
L'opinione pubblica reagirà sbagliando bersaglio, perché è troppo tempo che la politica non si occupa di fare pedagogia. Verranno lanciati fumogeni a Bonanni ma l'opinione pubblica non si interrogherà sul nuovo "patto sociale" di Marchionne e la bella pisciata che si sta tranquillamente facendo sulla tomba datata 1985 dell'unità e dell'efficacia politica sindacale, andando poi a stringere le mani ai ministri dopo essersi sgrullato sulla carta dei diritti operai. Ma nessuno apre bocca, e quindi per ora è legittimato.
E ora, la risposta più importante.
Alla Lega non gliene frega un cazzo.
Ora, indovinate chi sta governando in Italia?
BANG!!!