giovedì 7 ottobre 2010

La speranza occultata

L'isola (iii)

di Nicola Bardasi

Augusto Minzolini teorizzò, in varie interviste e dichiarazioni della metà degli anni Ottanta e dell'inizio dei Novanta, l'assenza del privato, ritenuto un concetto superato soprattutto se riferito a personalità pubbliche e ad eventi di interesse generale. Non sta a me, e non è neppure oggetto di questo articolo, vedere se il direttore del Tg1 sia o no rimasto fedele alla deontologia professionale che applicava e propugnava in gioventù. Il tema, senza nulla togliere alla questione, non è nemmeno tanto interessante.
Lo è di più, a mio giudizio, osservare quanto accaduto in questi giorni attorno alla scomparsa, ed oggi sappiamo all'omicidio, di una quindicenne.
In principio fu la scomparsa, la ricerca di una doppia vita nei meandri pericolosissimi di Facebook (come se l'uso del social network di per sé sia la prova di una insoddisfazione profonda, di una propensione alla mitomania e alla fuga). La tesi della pericolosità sociale di Internet fu sostenuta con vigore senza rendersi conto della difficoltà intrinseca legata al sostenere queste posizioni dato il numero degli utenti della rete e del sito) Uno dei molti casi in cui si sono cavalcante tigri di carta e lanciate crociate con un vigore degno di miglior causa. Si potrebbe anche chiuderla qui.
Forse bisognerebbe.
Federica Sciarelli, conduttrice di
"Chi l'ha visto?"
Fonte: listalesbica.it
Occorre però anche riflettere su un altro tema: quello che è stato definito "la morte in diretta". La scoperta del privato è stata tardiva, il rispetto nullo, l'attenzione psicologica dovuta ai personaggi coinvolti ha rasentato l'inesistente. Quando? Solo ieri quando "Chi l'ha visto" ha usato la vicenda per alzare lo share? O anche quando la vicenda è servita per raccontare una inesistente gioventù bruciata, priva di valori, di remore, di principi, attaccata solo a sogni di adolescenti e degradate e degradanti ragnatele virtuali? Dietro, forse, non c'è solo la volontà, legittima da parte dell'informazione, di "stare sul pezzo", ma anche l'irrefrenabile impulso, segno dei tempi, a costruire una mitologia della suburra, della lussuria, del disfacimento morale che permea ogni cosa, ogni persona, ogni evento. Senza eccezioni.
È un vecchio gioco quello che, partendo da una supposizione di eguaglianza fra la "classe dirigente" (in senso lato) e i cittadini (in senso altrettanto lato) attribuisce a questi, a tutti questi, i comportamenti di quelli. Come tutti i giochi ha una finalità: delegittimare la speranza del meglio, cioè l'attesa ottimista del futuro, vale a dire annichilire la voglia di cambiamento, renderla inoffensiva e quindi influenzabile.
La passività sociale è una componente del caso Scazzi?
Una ragazza dipinta come maniaca e ninfomane (udite udite possedeva persino un account su Facebook!) desiderosa di abbandonare il paesello natio (quale ardire!) e il nido familiare (le era toccato uno zio così attento... Cosa poteva volere in più dalla vita?): io mi permetto di considerarlo un buon indicatore in tal senso.
Non si è detto altro.
Non si poteva fare più silenzio, usare anche con lei, con l'ambiente circostante e con i fatti che emergevano, la misericordia che tanto piace all'Onorevole (?) Lupi ed il beneficio del dubbio?
Ciò che ne esce, comunque, è un sistema mediatico assurdo, filiazione diretta di una società che non sa guardare con ottimismo agli altri perché cattiva. E la cattiveria è sempre derivante, soprattutto quando è collettiva, dalla mancanza di speranza e dal "così fan tutti" che ci fa credere che tutti sotto il sole facciamo schifo uguale. Questo sentimento e l'atteggiamento connesso mi preoccupa di più delle beghe immobiliari e della Libertà senza Futuro o del Futuro senza Libertà.
Forse Minzolini aveva ragione.
Il privato probabilmente non esiste.
Ma solo perché lo concepisco non vuol dire che sia d'accordo. Potrei esserlo se si dicesse che non importa se si guardi il pubblico o il privato, importa l'occhio e lo sguardo.
Soprattutto quando si volge verso coloro che oggettivamente sono più deboli.

lunedì 4 ottobre 2010

Quel liberalismo "solo a parole"

La parola ai testimoni (i)
di Maurizio Alessandro Cattaneo*

Il Presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi
Fonte: insiemepercamarda.com
Ieri Berlusconi ha tenuto un comizio a Milano, come non ne teneva da un paio d'anni... bello, rilassato e luminoso in viso, le spalle larghe e la vita stretta (sembrava addirittura magro), ma soprattutto con una ritrovata verve, con quel carisma che ha ammaliato nel lontano '94 l'Italia, e non a caso a fine discorso sono state riportate le parole della discesa in campo di Silvio, quasi per riportarci indietro di più di un decennio. Man mano che l'ascoltavo rievocare le frasi da lui dette anni prima dicevo tra me e me che capivo chi aveva creduto in lui, che io stesso lo avrei votato, anche se all'epoca avevo solo tre anni. Si parla di liberalismo, di libertà d'impresa, di uno Stato leggero che deve chiedersi cosa deve fare lui per il cittadino e non ciò che il cittadino può fare per lui, uno Stato che debba garantire l'ordine e la giustizia e non interferire nell'economia; si parla di scissione chiara e netta tre pubblico e privato, di un paese meritocratico che riconosce le capacità del singolo e lo aiuta per forgiarsi e forgiare la sua vita senza trasformare questo aiuto in assistenzialismo, uno Stato che insomma metta al centro l'individuo. Ma l'idillio termina ben presto, non solo perchè rimangono parole vuote, ma soprattutto poiché nel medesimo discorso emerge quella malattia tutta italiana dello scorporo del liberalismo economico, il cosiddetto liberismo, da un liberalismo etico, di diritto, un liberalismo sociale. Allora si iniziano a sentire parole come la sacralità della vita, la famiglia naturale ed altri temi simili. Ebbene sconvolgiamo la mente di Berlusconi e del suo seguito: non esiste scissione tra liberalismo e liberismo (se non nella mente di Benedetto Croce, ma il paragone sconvolge). Il liberalismo è una dottrina politica complessiva, nella quale la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica, per dirla con Einaudi, ma oltre ad essa l'individuo si realizza attraverso i propri diritti civili e la libertà sul suo corpo, ed è per questo che non si può essere liberali se non si concede ad un essere umano il diritto sul proprio corpo e la scelta di poter evitare inutili sofferenze ed umiliazioni, sia fisiche che spirituali, facendo dipendere la libertà del singolo da un nuovo "Stato etico"; non si è Liberali se ancora si mette in dubbio la possibilità di una donna di abortire e si fa di tutto per ostacolare questa difficile scelta: dai medici obiettori al blocco della pillola abortiva; non si è Liberali se si vieta alle coppie sterili di accedere all'uso della procreazione medicalmente assistita, a meno che, ipocritamente, con essa la donna non sia disposta ad affrontare inutile dolore e mortificazione; non si è Liberali se si nega la realizzazione dell'individuo come membro di una coppia, anzi di un nucleo famigliare, in base al suo orientamento sessuale. Ma la debolezza delle parole del Presidente del Consiglio non sta solo nella loro contraddizione interna, ma è rappresentata anche da quei tre governi, che in ambito di libertà economica hanno fatto ben poco, e purtroppo mi duole dirlo, anche con il voto del rappresentanti di Futuro e Libertà, che però almeno oggi si accorgono dell'errore. Il fulcro sul quale verte il Liberalismo economico è che lo stato non deve intervenire come protagonista nell'economia, ma deve solo coadiuvarne il funzionamento, attraverso la costruzione e il mantenimento di una rete infrastrutturale, attraverso il diritto delle persone all'istruzione, alla salute e alla sicurezza, che passa attraverso la garanzia che magistratura e forze dell'ordine assicurano all'individuo e alle imprese; tutte cose affatto seguite da Berlusconi. Analizzando le iniziative prese dai governi guidati dal Cavaliere notiamo il sottofinanziamento delle opere infrastrutturali grandi e piccole, soprattutto per quanto riguarda il meridione d'Italia; notiamo pure il drastico taglio ai fondi per l'istruzione, l'Università e la ricerca e una demonizzazione continua della magistratura, accompagnata da pesanti mietiture dei fondi disponibili per essa e per le forze dell'ordine, bloccando così alcune rivoluzioni annunciate dallo stesso premier come l'informatizzazione del processo civile, che la dove è arrivato, come ad esempio in alcuni dipartimenti del tribunale di Milano, è merito dei privati. Al contempo abbiamo assistito al moltiplicarsi delle spese di mantenimento dello Stato e della politica, al proliferare delle provincie e all'aumento della pressione fiscale, sia attraverso imposte dirette che indirette. Se al cittadino lasci invariate le aliquote fiscali ma al contempo gli aumenti il pedaggio autostradale, il risultato che otterrai è comunque quello di un aumento del prelievo,il quale però va maggiormente a danno della classi sociali più deboli, quelle che nel famoso discorso della sua discesa in campo egli dichiarava di voler aiutare e proteggere. Infine voglio ricordare che anche laddove si è cercato di dare spazio al privato ci siamo ritrovati situazioni paradossali come la totale scomparsa delle scuole private a vantaggio di quell'ibrido mostruoso che sono le scuole paritarie, che spesso non sono sinonimo di maggiore qualità ma solo di facili promozioni; il tutto mentre la scuola pubblica agonizzava. E ancora ci siamo ritrovati di fronte alla riconversione di colossi economici statali in società compartecipate a maggioranza pubblica, alle finte liberalizzazioni di alcuni settori del mercato attraverso la svendita di monopoli statali a favore di monopoli privati, ed ovviamente non voglio stare a tediarvi con il discorso sulla liquidazione del patrimonio statale con assurde vicende come la cartolarizzazione, che si tradussero solamente in maggiori costi per lo stato. Insomma dopo quindici anni ci accorgiamo, purtroppo tardivamente, che Silvio Berlusconi non è la Thatcher italiana, nemmeno nella versione in salsa rosa, ma solamente il figlio deforme del socialismo, e forse non dovremo sorprendercene più di tanto dato che il Presidente del Consiglio era solito partecipare alle convention del PSI. Ma se l'obbiettivo più volte dichiarato da Berlusconi era quello di fare in Italia la rivoluzione liberale, mi trovo a dire che egli non solo ha tradito la volontà popolare che lo ha eletto, ma lo stesso motivo della sua discesa in campo, e allora dico che preso atto del suo fallimento sarebbe meglio che egli, al posto di tentare di affondare chi ancora si mantiene fedele a quel proposito, passasse il testimone.

*Maurizio Alessandro Cattaneo è responsabile della sezione giovani del circolo di Milano di Generazione Italia