venerdì 17 settembre 2010

Intorno al laicismo - parte due: un'etica senza dio

L'Isegoreta (iii)

di Gennaro Jr. Di Napoli

"Ignoranza".
Di questo è spesso tacciato l'ateo, l'agnostico, il miscredente, il non-credente in senso lato. Pare inconcepibile ai più la possibilità di non credere in dio (si badi, "dio" sarà generico e interscambiabile con "dèi", in questo articolo) pur conoscendolo, più precisamente conoscendo cosa dicono gli uomini su di lui.
Ma che si sia atei dogmatici, increduli, teorici, avversari della religione o si sospenda il giudizio dichiarando "Non posso sapere", questo risulta indifferente nel momento in cui il teista convinto t'addita come ignorante, folle, irragionevole.
La mancanza di un pensiero non-credente unico è certo una risorsa ed un monumento alla libertà di pensiero, eppure quante volte le generalizzazioni degli "avversari" marchiano come dogmatico l'agnostico o l'ateo pratico? Sembrerebbe quasi che l'ignoranza sia in chi la sta biasimando in te.
Talvolta, assurdo fare generalizzazioni, questo atteggiamento da parte del teista, miscela di attacco preventivo e difesa ossessiva, è frutto di una percezione del non-credente come del demolitore della fede, quello che porta prove a sfavore dell'esistenza di dio, quello che critica a prescindere. Non è una descrizione che va troppo lontana dalla realtà, se lo si dice dell'ateo forte, che è forse l'unico che nega a priori e ad perpetuum.
Michel Onfray, scrittore e pensatore
ateo
Fonte: babelio.com
Ciò che viene percepito come intento distruttivo, negli altri casi, o è l'avvalersi del diritto di critica o l'affermare il proprio diritto ad esistere come non-credente. Ciò che è stato da sempre avvertito come una negazione (ce ne sono i segni nella parola a-teo), e in alcuni casi lo è stato, risulta oggi la conseguenza di uno sterminato assortimento di visioni del mondo. E, in quanto tali, di pari dignità sia tra loro sia se paragonate alle visioni religiose dello stesso. Esigono rispetto, attendono critiche, partecipano al dialogo del pensiero umano.
Non è raro ascoltare obiezioni mosse dal credente che presuppongono l'immoralità matematica del senza dio e dell'impossibilità di codificare leggi valide dello stesso, in assenza di un solido principio primo. Un ottimo modo per viaggiare indietro nel tempo fino al XVII secolo e ancora più indetro, in attesa che qualche fisico tracci la strada per l'industria cronoautomobilistica.
Siamo dunque ritornati al titolo dell'articolo, ha senso parlare di un'etica senza dio? Tralascerò tutte le elucubrazioni sull'incompatibilità tra dio e l'etica, non le condivido a pieno e di fatto non aggiungono niente al mio discorso. Rispondendomi da solo possi dire che sì, ha senso parlarne. Perché? Perché siamo lontani dalla profezia apocalittica della demolizione dei buon vecchi valori d'un tempo, c'è una quantità di persone che ha rinunciato a ricavare le proprie linee guida dalla parola di profeti, interpreti del Verbo o della stessa divinità. A prescindere dal fatto che ciò sia un atto di superbia o di razionalità.
Ma non far discendere le proprie linee guida e il proprio sistema di valori dal divino non equivale a vivere senza principi. Stabilire questa relazione è come dire che l'omosessualità porti alla pedofilia in base alla constatazione che alcuni pedofili sono omosessuali. Non metto in dubbio che anche riguardo l'etica e la moralità tra i non-credenti le visioni siano diverse, ma generalmente possiamo rintracciare alcuni elementi che vanno per la maggiore: solidarietà, giustizia, imparzialità, razionalità, libertà e condivisione.
La solidarietà, anche se non la desumiamo come prescritta dagli insegnamenti di una religione, fa parte della natura umana come adattamento evolutivo dell'uomo "animale sociale". Il lemure che si ferma per soccorrere il piccolo in difficoltà, rischiando di trovarsi diviso dal branco, prova compassione e dimostra il suo essere solidale nello stesso atto di soccorso.
La giustizia è un discorso meno evolutivo e più legato al pensiero umano. Oggi potremmo trovarne il senso nella rabbia che, chi più chi meno, si prova quando sono negati a sé stessi o ad altri i diritti umani.
L'imparzialità è palesemente frutto della storia, basta essere d'accordo sull'arbitro più adatto a servire gli altri principî di cui parliamo. La legge è un possibile arbitro, l'etica stessa può esserlo e anche dio non è da meno. La questione sta tutta nel rendere quest'arbitro convenzionale.
La ragione, imprescindibile per il non-credente almeno proporsi di far scelte razionali e non basate sull'opinione più in voga, specie se sospettabile di superstizione.
La libertà: pensiero, parola e azione devono restar libere nei limiti necessari a tutela di altri diritti che potrebbero restare dannaggiati da un'uso improprio di quelle.
La condivisione, elemento di cui l'etica non può fare a meno nel momento in cui sorge da un'analisi razionale della realtà. Essendo i mezzi di questa analisi in continuo sviluppo, l'etica, tramite la condivisione che è confronto, muta col contesto storico, la tecnologia disponibile e il livello di sviluppo della società (da non misurare su una scala verticale, ma con approccio comparativo).
Si può non essere d'accordo con la "Summa Atheologica" di Michel Onfray, ma resta il contributo indubbio che il suo lavoro porta al discorso di un'etica del senza dio, descrivendo come necessaria la fondazione di una nuova conoscenza, uno spostamento delle basi di politica e morale sul campo dell'immanenza e fondato sull'uso di ragione, filosofia, pragmatismo, utilità, edonismo individuale e sociale avendo come fine esclusivo l'interesse (il bene) degli uomini.

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