sabato 11 settembre 2010

Intorno al laicismo - parte uno: il concetto di "teismo"

L'Isegoreta (i)
Gennaro Jr. Di Napoli

La parola ha un'importanza capitale per la specie umana, le parole comportano una grande responsabilità. Avere un superpotere non è cosa da poco e, comunque, non va preso alla leggera. Per questo tutte le fesserie che scriverò qui dentro le scriverò, giuro sulla testa dei miei mille figli, in piena responsabilità.
Ad ogni modo, visto che le parole hanno questa assoluta rilevanza, l'Isegoreta spiega sé stesso definendo il Suo nome: Egli è colui che parla liberamente in pubblico, di conseguenza parla anche di quel che gli pare. Tanto vi basti.
Bene, arrivederci al prossimo articolo. Sì, non sono credibile, c'è un papiello [uno scritto molto lungo, n.d.A.] sotto questa riga e ve ne svelo anche in anticipo l'argomento, così potete fuggire subito senza prima dover sforzare gli occhi: il teismo.
Ralph Cudworth, filosofo inglese
del '600
Fonte: nndb.com
(Non) tralasciando l'etimologia, "teismo" viene dai greci theós "dio" e -ismós, suffisso di categorizzazione con cui abbiamo sufficiente dimestichezza. Il termine appare per la prima volta nel XVII secolo ad opera di un filosofo inglese, Ralph Cudworth. Il suo significato, da quando è apparso, s'è trasformato, com'è ovvio che sia, ma qui lo esporrò nella sua forma più generale "posizione filosofica che prevede l'esistenza di almeno un dio personale e per lo più provvidenziale e\o di almeno una realtà trascendente il cosmo materiale in cui l'uomo di muove". Per il significato di teismo in seno al dibattito con il nascente deismo durante la rivoluzione scientifica, vi rimando al web e alla carta stampata.
Il teismo però non deve sembrare "cibo per filosofi", chiunque in realtà lo conosce più o meno bene perché i teisti sono i singoli credenti nelle religioni, cosiddette, teiste. Senza entrare in merito alla formulazione di una definizione abbastanza ampia di teismo che abbracci anche altre classi di religione, per l'appunto non teiste, possiamo affermare abbastanza correttamente che tutte le forme di monoteismo e di politeismo ricadono sotto questa categoria.
Parlando di teismo si deve almeno accennare alle varie prove dell'esistenza di dio formulate lungo i secoli e non solo in ambito cristiano. Quelle più famose, ascrivibili al gruppo delle "prove metafisiche", sono la prova ontologica di Anselmo d'Aosta, rimaneggiata poi dai vari Cartesio, Leibniz e più recentemente riformulata da Gödel in termini logico-matematici, e le "cinque vie" di Tommaso D'Aquino che portano all'ammissione di altrettanti aspetti dell'unico dio che egli intendeva provare: primo motore immobile, prima causa incausata, essere necessario, essere perfettissimo, sapientissimo ordinatore. Cui vi rimando per farvene un'idea personale.
Per quanto riguarda l'altro grande gruppo di prove, sono definite empiriche, ma come ben vedrete tra poco in questo caso "empirico" non c'entra con "scientifico". Esse sono rappresentate principalmente da:

  • prova teleologica: afferma che l'ordine e la complessità del cosmo mostrano segni di una volontà paragonabile al progetto di un architetto cosmico. Mi permetto di aggiungere che ciò proverebbe esclusivamente un "demiurgo" e non un dio perfettissimo, essendo lo stesso demiurgo bisognoso di un creatore.
  • prova morale: dimostra dio in base all'esistenza di una moralità oggettiva.
  • prova trascendente: afferma che senza Dio cose come l'etica, la logica e la scienza non hanno senso alcuno.
  • prova antropica: in sostanza l'uomo esiste perché dio esiste. Quindi dio esiste perché l'uomo esiste.

Sorvolerò su quelle prove basate sulle cosiddette testimonianze personali e quelle sul principio secondo cui, visto che persone in tutte le epoche e in luoghi diversi abbiano creduto nel trascendente, esso esista. Se qualcuno avesse imposto questo modo di ragionare, ora cammineremmo ancora su una terra piatta.
Personalmente non sono persuaso da nessuna di queste argomentazioni, né dalle altre che non ho riportato. Ritengo molto più ragionevole il credere in qualcosa affidandosi interamente alla propria fede, se la si ha o la si trova.
E chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, si affretti a documentarsi a riguardo. Altrimenti queste sono state solo vuote ciance.

Rigurgito di coscienza

L'isola (i)

Nicola Bardasi

Quando Gian Piero mi ha chiesto di scrivere questo articolo non sapevo cosa avrei scritto e, in realtà, nemmeno ora lo so.
Gianfranco Fini, al suo arrivo a Mirabello
Fonte: claudicaprara.it
Prima avevo pensato di scrivere qualcosa sull’oratoria politica a Mirabello e sul perché non risulta convincente anche quando è ottima come esercizio retorico.
Poi ho visto che dalla condanna della violenza (che mi sta bene) stiamo passando ad una acritica esaltazione della nonviolenza e del fair play (quanto meno stucchevole oggi e qui) e sono stato, quindi, sul punto di cercare di scrivere perché non è legale firmare accordi sindacali di minoranza. Non lo farò perché qualche idiota direbbe che sono complice del centro sociale Askatasuna ("libertà" in euskera) da cui sono venuti i contestatori muniti di fumogeni. E io non ho voglia di litigare.
Adesso sto vedendo che pare che la legislatura sia come Cardarelli, il più grande poeta morente, e dicono che continuerà così per altri tre anni. Vorrei scrivere che, dopo tre anni di governo con una maggioranza parlamentare bulgara e quindici/venti di politica alle spalle, se i risultati sono questi, è meglio affidare a Zeffirelli la regia dei festeggiamenti per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia e chiudere bottega dopo l’ultimo fuoco d’artificio.
Ma mi sono detto che l’opposizione dovrebbe sapere cosa fare. Errore mio: è stato solo un riflesso pavloviano. Mi sono subito ricordato che l'opposizione non esisterà finché cercheremo la sinistra tra i politici e le idee di destra, da Fini a Di Pietro, e che quindi è inutile scriverne perché non sono un surrealista.
Faccio lo studente di scienze politiche ma ho sbagliato facoltà perché mi piace più leggere, guardare paesaggi e luoghi che pensare alla politica.
Quello che mi interessa è studiare e capire le cose.
Ho delle idee su come va o dovrebbe andare il mondo ma, di fatto, non so spiegarle ad altri, anche se mi sembrano abbastanza logiche quando ci penso.
Mi schiero sempre e comunque per qualcuno o qualcosa, ma non per Sakineh. E non perché penso che le donne adultere vadano lapidate, ma perché vorrei che, se crediamo davvero nella necessità di abolire la pena di morte e le condizioni inumane di detenzione( ci adoperammo, grazie ai Radicali, in sede ONU per una moratoria in tal senso), incominciassimo dai centinaia di prigionieri rinchiusi in Europa ed in Nordamerica che aspettano da anni un processo o un’iniezione letale. Quando ci batteremo per loro allora sì che ci saremo guadagnati sul campo il diritto di parlare di Iran. È per questo che i Radicali se lo sono guadagnati. Non scriverò neanche su questo. Non preoccupatevi.
Ho letto che i liberali sono di più di ieri. Sono contento. Vuol dire che nessuno censurerà questo articolo [confermo, n.d.G.P.T.]. Vorrei solo dire, a tal proposito, che se sei liberale, prima dovresti avere capito cos’è la libertà altrui. Non credo che nell’MSI questo si insegnasse, ma dubito anche che Farefuturo possa fare scuola serale di liberalismo a un branco di cinquantenni.
Credo anche che a sinistra la vendita dei sogni da parte di Vendola dovrebbe finire. Giocare con la disperazione e la povertà è triste, anche quando si hanno tante buone ragioni.
In tutto questo caos ci sono tempi per l’analisi e altri per il flusso di coscienza. Per l’analisi, altrimenti detta pars construens, vi do appuntamento alla prossima rubrica.

La fine della poesia

Mamma, li turchi (i)
Niccolò Fattori

"È tutta colpa dell'AKP, è tutta colpa di Tayyp".
Ilker Candemir è categorico: "Prima è diventato sindaco di Istanbul, poi è riuscito a far eleggere primo ministro il suo braccio destro, mentre era in prigione. Sai perché era in prigione?".
Ovvio che lo so. Ci sto scrivendo sopra una tesi di laurea. "No, non lo so, mi dica".
"Incitava odio religioso. Proclamava l'avvento della legge islamica. «I minareti saranno le nostre lance, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme» diceva". Che fosse una poesia di Ziya Gokalp, padre spirituale del nazionalismo turco, non lo dice.
"Ma ora, ora Tayyp dice di essere cambiato. Niente più poesie, niente più sharia". beve un sorso silenzioso dalla sua tazzina di caffè, di porcellana bianca con arabeschi neri ed il bordo dorato. "Ma una persona non cambia in dieci anni. Ha bisogno di soldi, e i soldi ce li hanno in Europa. Ha visto quello che è successo ad Erbakan, e sta facendo del suo meglio per non pisciare fuori dal vaso". Non ha tutti i torti.
Abbassa la tazzina, si concede cinque minuti di Argentina-Corea del Sud.
"È tutta colpa dell'AKP - ripete - se oggi un viaggio in minibus costa una lira e cinquanta. Prima, era una lira, ad Istanbul. A Sakarya, settanta centesimi. È colpa dell'AKP se la birra costa quattro lire. Hanno alzato le tasse per i locali che servono alcolici, lo sai?".
Recep Tayyp Erdogan, primo ministro
turco
Fonte: wikipedia.org
"Sì, vagamente". In realtà, metà della mia borsa Erasmus è partita in gin e vino rosso di infimo livello.
"Prima, costava quanto l'acqua. In realtà, loro vogliono trasformare la Turchia in un nuovo Iran. Vogliono che i religiosi salgano al potere, vogliono distruggere la nostra rivoluzione".
L'Argentina segna. Il figlio, che di politica non si interessa, si esalta davanti al terzo gol di Hinguain, assist di Messi. La moglie sorride riascoltando la filastrocca della reazione islamica, la figlia raccoglie le tazzine in un vassoio e le riporta in cucina,
La famiglia Candemir vive a Kasimpasa, quartiere di Istanbul che offre occasionali scorci di napoletanità. Signore velate conversano da un balcone all'altro, o sulla strada, mentre tengono d'occhio i bambini che si scambiano passaggi nonostante la pendenza del terreno accidentato, ragazzini discutono di calcio e di motori roteando svogliati i rosari, come i duri dei film anni '50. Nei vicoli più vicoli si nascondono puttane e spacciatori di polvere d'oppio, piccoli business tradizionali, che offrono evasione a prezzi modici per i pochi cui non bastano il catechismo delle moschee o le manifestazioni dei repubblicani. È una di quelle zone che ti fanno innamorare della città, nonostante l'odore di piscio di gatto sia spesso più forte di quello della zuppa di lenticchie.
Kasimpasa, uno dei quartieri di Istanbul
Fonte: Panoramio
Qui, a Kasimpasa, la presenza di Recep Tayyp Erdogan è quasi opprimente. La famiglia Candemir mi ha portato a fare un giro per il quartiere, mostrandomi la scuola di Erdogan, la vecchia casa di Erdogan, lo stadio intitolato ad Erdogan, dove gioca appunto il Kasimpasa, squadra di calcio bianconera eternamente in bilico tra A e B.
Le somiglianze tra gli Erdogan e i Candemir sono notevoli. Entrambe le famiglie vengono dal Mar Nero, gli uni da Rize, gli altri da Kastamonu, entrambe rappresentano una generazione di emigrati che si è trasferita ad Istanbul e se ne è impossessata. Tayyp da bambino lavorava vendendo ciambelle di sesamo per la strada, Ilker faceva lo sguattero in un ristorante. Entrambi hanno studiato economia, lavorando duro per diventare parte dell'odierna classe di "tecnocrati", ingegneri ed economisti, che da ormai trent'anni tiene in mano ogni aspetto della vita politica turca. Entrambi ottimi calciatori.
La differenza: Erdogan ha avuto un background religioso, ha frequentato una "scuola vocazionale" per imam, si è iscritto nelle avanguardie dei primi partiti di ispirazione musulmana, facendosi strada ventilando rivoluzioni coraniche, fino al recente autodafé con cui ha fondato il suo partito, "democratico conservatore", al potere dal 2001.
Ilker, invece, è un ex-socialista dalla figura smunta e dalle convinzioni ferree, figlio di un allevatore repubblicano, dirigente di medio livello in una delle banche più importanti del paese.
Dopo la morte delle sinistre socialdemocratiche turche, negli anni '80, ha giurato fedeltà al tradizionale partito di opposizione, e non potendo più sostenere la causa operaia, si è fatto inossidabile custode del laicismo di stato.
Quando parla di politica, tornano a galla le sue radici socialiste. Come un vecchio comunista che disquisisce di lotta di classe, o come un prete che parla del demonio, se c'è di mezzo Erdogan è sicuro, preciso, non accetta mezze misure. Gli si illuminano gli occhi e, paradossalmente, sorride. Tutto il mondo che ruota attorno alla cosiddetta "Destra Religiosa". Non è solo una nemesi, ma una necessaria antitesi per cui obbligatoriamente passa l'identità ideologica delle "Sinistre Repubblicane". È il Drago di San Giorgio, è Berlusconi per Di Pietro.
Sua figlia Merve non risparmia gli aneddoti.
"Una volta, dopo il matrimonio, mio padre è andato di venerdì alla moschea di Istiklal Caddesi. Era fuori, insieme agli altri fedeli che non avevano trovato spazio all'interno, si era tolto le scarpe ed aveva steso il tappetino. Dopo le preghiere rituali, l'imam ha cominciato ad attaccare nella predica la costituzione, il laicismo, le riforme di Ataturk. Mio padre ha rimesso le scarpe, ha preso il tappeto e se ne è andato. È stata la sua ultima volta in moschea".
"Mio padre - continua Merve - non ha mai osservato il Ramazan. Una volta, è stato trasferito per lavoro nei quartieri fuori dalle mura, dalle parti di Topkapi. Lì vivono soprattutto emigrati curdi, tutta gente religiosissima. Dopo tre giorni che non mangiava se non a cena, perché tutti i ristoranti erano chiusi, ha ingoiato il rospo ed ha cominciato ad adattarsi ai ritmi dei fedeli. Me lo ha detto mamma - conclude - lui non ama parlarne".

Spiegando il Mondo Zero


di Gian Piero Travini

«Non ci piacciono le mezze verità; non ci piacciono la deferenza e l’unzione per le idee che detestiamo. Ci siamo sempre battuti per dare il loro nome ai fatti e ai personaggi. L’intellettuale, per noi, è una figura intera. L’uomo politico, se non vuole essere un puro faccendiere, è anch’esso un intellettuale che vive pubblicamente e che fa con naturalezza la sua parte nella società».
L'8 marzo del 1966 Mario Pannunzio chiude con queste righe l'esperienza editoriale de Il Mondo, il settimanale liberale da lui diretto fin dal '49. Mi vergogno a dire che è seguendo il suo percorso umano che scelgo di aprire questo spazio. Mi vergogno perché ciò che Pannunzio è stato per l'intellettualismo è tale che anche definirlo "intellettuale" è un insulto. Non sono un decimo di quello che è stato Mario Pannunzio. E mi vergogno perché sento che qualsiasi cosa possa fare per rispondere alla sua perfezione intellettuale, al suo disincanto violento e terribile, alla sua giusta ira contro la mediocrità del pensiero debole italiano, è nulla.
Però ci provo.
Ci provo insieme a molti amici.
Ci proviamo.
Proviamo a ricordare a chi ha voglia di leggerci che esiste un significato ben preciso che va dato ad ogni parola che si pronuncia. Proviamo a ricordare a chi ha pazienza di leggerci che la musicalità, l'armonia del pensiero... la disciplina del pensiero è retta solo e soltanto dalla cognizione di causa. Dalla ricerca. Dalla costante meraviglia dell'estasi della conoscenza.
Mario Pannunzio, direttore de Il Mondo
Fonte: loschermo.it
La ricerca è quella che ci unisce in questa avventura. Un'avventura di libertà, di mondi, di passioni e di politiche. Il Mondo Zero non è un luogo definito, ma è uno stato mentale: è la decostruzione della realtà, scevra dagli orpelli del nuovo pensiero liberal-chic, che come un giardino prensile adorna il nuovo mondo dell'intellettualismo. Un nuovo mondo che pare nasca in una lunga estate calda, ma senza Orson Welles e senza Paul Newman, anche se Gianfranco Fini ci assomiglia, alla lontana... certo, madamigella Tulliani non è Joanne Woodward e men che meno Bocchino è Angela Lansbury. Una lunga estate calda, fitta di piogge, di liberali che spuntano come funghi e di funghi velenosi come liberali, di profezie terzopolistiche che si dovrebbero auto-avverare ma non è detto, perché i funghetti liberali non sono allucinogeni, alcuni sono allucinati, ma le loro ife non sono abbastanza solide o duttili da creare una bella colonia fungina per cementare quello che stanno cercando di spacciarci come realtà, ovvero il terzo polo. Il nuovo mondo è fatto da chi concorre alla gara per essere più liberale, più di sinistra, più anti-berlusconiano, più berlusconiano. Ma l'ideologia non è una gara. Può essere certo una sfida, ma con se stessi, non con chi ti sta accanto. Ancora una volta il "nuovo mondo" torna ad essere imposizione intellettuale pomposa e ridicola, non l'occasione per apprendere, nuovamente, insieme.
Ma il nuovo mondo non è il nostro mondo.
Il nostro mondo è una tensostruttura minimalista. E proveremo a spiegarvela. Liberali. Liberaldemocratici. Liberali e democratici. Radicali. Socialdemocratici. Socialisti e democratici. Antitotalitari sempre e comunque. Ripartendo insieme dalla base.
Per molti di noi è la prima esperienza come divulgatori, ma ci impegneremo. A fondo.
Il Mondo Zero è la descrizione del minuto.
Il Mondo Zero guarda all'Europa e alla non Europa. Alla politica e alla non politica. Al pensiero e al non pensiero. Con occhio critico e mente aperta.
Benedetto Croce insegnava che la critica è un fucile molto bello che deve sparare raramente: fortunatamente il maestro del liberalismo italiano non aveva a che fare con certi editoriali del TG1. Noi spareremo un po' di più, cercando di non abusarne. In questo, Mario Pannunzio era maestro: speriamo di esserne degni allievi. Mai rinunciò alla critica feroce per cancellare l'ignoranza della limitazione attorno a lui, con la passione di chi è nato per combattere in nome del concetto stesso di "vita". Di uomo. Pannunzio scriveva dell'uomo e per l'uomo. Così semplice. Così perfetto. Così meravigliosamente commovente.
Vittorio Gorresio lo definì: «Intransigentemente anticomunista in nome della libertà, intransigentemente antifascista in nome dell’intelligenza, e intransigentemente anticlericale in nome della ragione». Impossibile ritrarlo in maniera più completa.
Nessuno è stato come Mario Pannunzio. E, nei miei momenti più bui, penso che nessuno lo sarà mai.
Benvenuti sul Mondo Zero.