martedì 19 ottobre 2010

Dream a little dream of Him...

Il fucile (vii)

di Gian Piero Travini

Dream a little dream of me...
Non che B. assomigli a Mama Cass. E sicuramente un album dei Mamas and the Papas lo sfangherei. Un album di B. dovrebbe avere almeno una copertina accattivante. Quindi pieno di figa (possibile) e senza di lui (la vedo dura).
Dream a little dream of me, Gianfranco. Questo il riassunto di un'intensa settimana politica, conclusasi stasera, dove l'evento portante è stata la piangina di Gianfranco su Schifani, bloccata dal presidente del Senato senza nemmeno troppe polemiche, chiusa da Alfano ieri pomeriggio, dopo un breve conciliabolo sulla legge sulla giustizia.
Vorrei potervi dire che i deliri istituzionali, o politici, o da andropausa (o tutti e tre) di Gianfranco siano dettati da una fotta incredibile di andare a votare. Vorrei poter dire che non gioca a fare il casinaro solo perché non ha la minima idea di come impostare una politica inter-parlamentare con le forze della resistance contro B. Vorrei poter dire, infine, che in realtà ha un piano bene in testa. Cioè, a parte quello di fare campagna elettorale perpetua da Presidente della Camera. Ma non posso.
Però posso dirvi che la querelle Schifani-Fini sulal riforma elettorale ha matrice molto più Antigua.
Tra i due non c'è mai stati simpatia. Nemmeno a me ispirerebbe simpatia Schifani. Ma nemmeno a voi. Quindi capirete il povero Gianfranco, quando si sono scannati al congresso fondativo del PDL attorno al DDL sul testamento biologico. Era marzo del 2009 e le cose sembrava andassero benino. Ovviamente, i brillanti opinionisti si bevevano le intenzioni di B. come definitive e Fini appariva il vero successore, mentre Tremonti raccoglieva le ovazioni da tutti i delegati senza che nessuno lo considerasse.
Ma sto divagando. L'essenziale è capire che i due non si amano.
Gianfra scappa fuori con la presunzione di spostare il dibattito sulla riforma elettorale dal Senato alla Camera. Ovvero dalla camera dove i suoi voti di FLI contano come la carta esci gratis di prigione del Monopoly mentre si gioca a Risiko, a quella dove potrebbe fare la differenza. Adducendo l'immobilismo del Senato e l'impossibilità di approvare la riforma.
Allora. Prima di tutto QUALE riforma? Secondariamente, CHI LA VUOLE? Tanto la prima, quanto la seconda, passano dall'inquilino arcano di Montecitorio. Gianfranco vuole una riforma uninominale in senso proporzionale perché, come leader di un neo-partito, strapperebbe certo più seggi anche con percentuali risicate (e, il fatto che faccia tanto casino, è chiaro indice che siamo lontani parecchio dal 9% che si aspetta). Schifani spiega a Gianfranco che le due proposte di riforma sono depositate al Senato e da lì non si schiodano. Gianfranco non può che ammettere la correttezza ai sensi dei regolamenti parlamentari di Schifani, ma poi, come un bimbo sgamato dopo una marachella, prova a giustificarsi ribadendo che il Senato non la approverà mai, quindi bisogna spostarla alla Camera, adducendo un problema politico.
Capiamoci bene.
Il Presidente della Camera chiede che la riforma elettorale che avvantaggerebbe il suo partito passi alla sua camera dove potrebbe tentare una spallata alla maggioranza con la quale è stato riconfermato onorevole, il cui primo partito è quello che ha abbandonato adducendo problemi politici. Quando il Presidente del Senato, suo superiore, lo manda elegantemente a cagare, il Presidente della Camera si PERMETTE di dire che nella camera non di sua competenza ci sono dei problemi politici.
Il problema politico, in effetti, c'è. Ed è decisamente suo.
Dream a little dream of me...
Ma perché Gianfranco ha così fretta di sbloccare la riforma?
Perché sa qualcosa che noi non sappaiamo ancora. O, meglio. Sa qualcosa che noi sappiamo solo dalle 19.07 di oggi.
A quell'ora viene infatti votato il "sì" all'estensione della copertura del lodo Alfano anche retroattiva. Con il voto dei senatori finiani.
Tralasciando dispute sul lodo in sé, da cui mi tengo ben lontano perché ho intenzione di godermi quel poco di vita serena che mi rimane, vi dò la mia interpretazione sul perché B. e Alfano tentino un azzardo del genere, ben sapendo che Fini e i suoi colonnelli si opporrano.
Al senato l'appeal di Fini è inutile e, probabilmente, anche poco vincolante sui suoi senatori. Ma la partita va giocata alla Camera, dove il testo verrà discusso.
Alla Camera B. rischia di rimanere sotto. Dopo l'immediato smarcamento di O' Pisolo, che ha dichiarato che non si pronuncerà su una legge costituzionale, probabilmente bloccato anche dalla stessa Corte, due possibilità: o Fini vota a favore dell'emendamento Vizzini e la legge passa con la retroattività, sputtanandosi completamente dopo mesi e mesi di proclami e sancendo di fatto la sua fine, cassandosi la bocca una volta per tutte dimostrando di essere obiettivamente un cagnetto fedele, solo un po' scemotto; o vota contro e la maggioranza eletta và a casa. E B. punta proprio a quello.
on. Gianfranco Fini e on. Angelino Alfano
Fonte: static.sky.it
La riforma Alfano è BASILARE per il suo Governo, un cardine. Se non trova la maggioranza lì, adducendolo come uno dei cinque punti cui richiese la fiducia il mese scorso, chiamerà nuove elezioni con un certo peso politico. Facendo la figura del "tradito". Piangendo per tre mesi di campagna elettorale contro Fini. Annullandolo.
L'incognita è sempre quella, però: l'oligarca di gabinetto. Il vero potere dietro B., ovvero Tremonti, l'unico che può mettere d'accordo abbastanza anime politiche per traghettare la legislatura fino alla fine.
Ma ormai, pare che B. sia deciso a giocarsi il tutto per tutto, nonostante solo qualche giorno fa minacciasse puerilmente di smettere di governare a tratti e a tratti facesse il papà buono mettendo pace tra Schifani e Fini.
Fini temeva questa situazione, perché Fini è un ottimo politico. A livello teorico.
Nella pratica sta già iniziando a commettere errori grossolani. Ad essere prevedibile e a non prevedere
Non sono d'accordo con le cassandre che promettono la fine di FLI, probabilmente gelosi perché l'organizzazione sta dando grandi possibilità e visibilità a molti giovani e molte anime che, altrove, sono incancrenite come piccoli tumori immobili. Eppure, qualcosa scricchiola paurosamente.
La base c'è, ma manca il vertice: Fini non è abituato da solo, e il peso politico di Bocchino e Granata è impalpabile, e non sono le molteplici voci dell'intellighenzia liberal-chic e del vero nocciolo liberale interno, esiguo e comunque in conflitto con la stragrande maggioranza di chi si apre la bocca all'inverosimile per far uscire grandi parole, che possono aiutarlo. Potrebbe cogliere un'occasione, quella del giro di vite nel PDL, per offrire un nuovo porto a vecchi amici.
Ma poi, che figura ci farebbe?
Ah, già. Quella della vittima delle circostanze. Quella del disattento.
Ma non sarebbe una novità.
Dream a little dream of Him
BANG!!!

domenica 17 ottobre 2010

UvAmara

La parola ai testimoni (ii)
di Luca Vescovi*

Autunno.
Il rosso delle foglie e l'imbrunire dei vitigni sanciscono il termine del periodo della vendemmia. Quest'anno più di altri è stata particolarmente sofferta da piccoli produttori.
Con l'amaro in bocca mi accingo a vedere ogni anno decrescere la remunerazione del "raccolto" rispetto richieste sempre più costrittive ed addirittura un rincrescersi dei costi.
Spesso sento dire: "Ne vale la pena?". Oggettivamente a memoria d'uomo, facendo un balzo indietro di vent'anni, ricordo il momento della vendemmia come un momento di grande festa: le donne preparavano taglieri di affettati, pane, formaggio, vino per la pausa del mezzogiorno consumata al di sotto delle pergole o su tavole improvvisate ed imbandite. Eserciti di parenti ed amici che si ritrovavano in questa giornata per celebrare il raccolto. L'odore dell'uva, le mani appiccicose. Viti cariche di grappoli lucenti...
Da allora, una sorta di maledizione.
Un gioco di speculazione al ribasso che vede deteriorarsi gli sforzi di chi produce in fasce collinari che vanno da 200 a 700 metri sul livello del mare, terreni in pendio, calcarei, dove la vite è bassa e la raccolta avviene a mano e trasportata solo alla cantina con il trattore. Eppure la soglia dell'euro al kg pare solo un lontano ricordo. Oggi ci si posiziona sui 55 euro/quintale per la produzione di chardonnay. Con una produzione di quaranta quintali, ammettendo che l'uva sia conforme al disciplinare del Consorzio, si andrebbe a percepire 2200 euro, se il Consorzio fosse in attivo, con l' impossibilità di andar a vendere presso altri consorzi il proprio prodotto se non pesantemente deprezzato, o addirittura rifiutato. Quando si tratta di pagare, i bilanci sono sempre in rosso ed i soci devono pagare una parte del percepito come "sanatoria " del debito... Una burocrazia allucinante.
Di quel guadagno lordo di cui sopra, tolte le spese di gasolio, tolte le spese di trattamento delle vigne, almeno sette durante la coltivazione e del costo di minimo un centinaio di euro l'una, si va ad assottigliare di molto l'esiguo compenso da cui ormai non si vanno nemmeno più a calcolare le ore di lavoro che ci si mette. Durante le vendemmie vengono fatti controlli a tappeto e le pratiche per regolarizzare dei lavoratori per le stesse fanno diventare il rurale e burbero contadino, un burocrate del superfluo... E questo fa male a chi, magari, deve fare marcire la propria uva sui vitigni poichè il prezzo è così declassato da non permettergli matematicamente di andare in pari con un'eventuale vendemmia. Altri sono costretti a rimuovere picche non mature per avere un minor raccolto con maggior gradazione, altri sono vessati dall'egemonia dei consorzi che si vedono accettare o meno quantitativi di prodotto per ripicche o motivazioni assurde. Sarebbe urgente che la Regione Trentino, ed anche Roma Capitale non dovrebbe esserne del tutto estranea, convochi un tavolo per trovare nuovi strumenti per i contratti, e che venga fissato un prezzo su lungo periodo che garantisca un "reddito": non si può partire a produrre con l'angoscia del "se fosse".
Il mestiere del contadino è legato alla terra, alle radici, alle tradizioni. La vendemmia è un pezzo della mia terra che ha preso un connotato di dubbio ed incertezza: una concezione ossimorica rispetto la terra che i miei avi hanno calcato e per cui io stesso ho gioito in passato.
I trentini sono chiusi e duri come le loro montagne... ma a poco a poco questa situazione va sgretolando il loro credo.

*Luca Vescovi è un collaboratore familiare agricolo