sabato 11 settembre 2010

La fine della poesia

Mamma, li turchi (i)
Niccolò Fattori

"È tutta colpa dell'AKP, è tutta colpa di Tayyp".
Ilker Candemir è categorico: "Prima è diventato sindaco di Istanbul, poi è riuscito a far eleggere primo ministro il suo braccio destro, mentre era in prigione. Sai perché era in prigione?".
Ovvio che lo so. Ci sto scrivendo sopra una tesi di laurea. "No, non lo so, mi dica".
"Incitava odio religioso. Proclamava l'avvento della legge islamica. «I minareti saranno le nostre lance, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme» diceva". Che fosse una poesia di Ziya Gokalp, padre spirituale del nazionalismo turco, non lo dice.
"Ma ora, ora Tayyp dice di essere cambiato. Niente più poesie, niente più sharia". beve un sorso silenzioso dalla sua tazzina di caffè, di porcellana bianca con arabeschi neri ed il bordo dorato. "Ma una persona non cambia in dieci anni. Ha bisogno di soldi, e i soldi ce li hanno in Europa. Ha visto quello che è successo ad Erbakan, e sta facendo del suo meglio per non pisciare fuori dal vaso". Non ha tutti i torti.
Abbassa la tazzina, si concede cinque minuti di Argentina-Corea del Sud.
"È tutta colpa dell'AKP - ripete - se oggi un viaggio in minibus costa una lira e cinquanta. Prima, era una lira, ad Istanbul. A Sakarya, settanta centesimi. È colpa dell'AKP se la birra costa quattro lire. Hanno alzato le tasse per i locali che servono alcolici, lo sai?".
Recep Tayyp Erdogan, primo ministro
turco
Fonte: wikipedia.org
"Sì, vagamente". In realtà, metà della mia borsa Erasmus è partita in gin e vino rosso di infimo livello.
"Prima, costava quanto l'acqua. In realtà, loro vogliono trasformare la Turchia in un nuovo Iran. Vogliono che i religiosi salgano al potere, vogliono distruggere la nostra rivoluzione".
L'Argentina segna. Il figlio, che di politica non si interessa, si esalta davanti al terzo gol di Hinguain, assist di Messi. La moglie sorride riascoltando la filastrocca della reazione islamica, la figlia raccoglie le tazzine in un vassoio e le riporta in cucina,
La famiglia Candemir vive a Kasimpasa, quartiere di Istanbul che offre occasionali scorci di napoletanità. Signore velate conversano da un balcone all'altro, o sulla strada, mentre tengono d'occhio i bambini che si scambiano passaggi nonostante la pendenza del terreno accidentato, ragazzini discutono di calcio e di motori roteando svogliati i rosari, come i duri dei film anni '50. Nei vicoli più vicoli si nascondono puttane e spacciatori di polvere d'oppio, piccoli business tradizionali, che offrono evasione a prezzi modici per i pochi cui non bastano il catechismo delle moschee o le manifestazioni dei repubblicani. È una di quelle zone che ti fanno innamorare della città, nonostante l'odore di piscio di gatto sia spesso più forte di quello della zuppa di lenticchie.
Kasimpasa, uno dei quartieri di Istanbul
Fonte: Panoramio
Qui, a Kasimpasa, la presenza di Recep Tayyp Erdogan è quasi opprimente. La famiglia Candemir mi ha portato a fare un giro per il quartiere, mostrandomi la scuola di Erdogan, la vecchia casa di Erdogan, lo stadio intitolato ad Erdogan, dove gioca appunto il Kasimpasa, squadra di calcio bianconera eternamente in bilico tra A e B.
Le somiglianze tra gli Erdogan e i Candemir sono notevoli. Entrambe le famiglie vengono dal Mar Nero, gli uni da Rize, gli altri da Kastamonu, entrambe rappresentano una generazione di emigrati che si è trasferita ad Istanbul e se ne è impossessata. Tayyp da bambino lavorava vendendo ciambelle di sesamo per la strada, Ilker faceva lo sguattero in un ristorante. Entrambi hanno studiato economia, lavorando duro per diventare parte dell'odierna classe di "tecnocrati", ingegneri ed economisti, che da ormai trent'anni tiene in mano ogni aspetto della vita politica turca. Entrambi ottimi calciatori.
La differenza: Erdogan ha avuto un background religioso, ha frequentato una "scuola vocazionale" per imam, si è iscritto nelle avanguardie dei primi partiti di ispirazione musulmana, facendosi strada ventilando rivoluzioni coraniche, fino al recente autodafé con cui ha fondato il suo partito, "democratico conservatore", al potere dal 2001.
Ilker, invece, è un ex-socialista dalla figura smunta e dalle convinzioni ferree, figlio di un allevatore repubblicano, dirigente di medio livello in una delle banche più importanti del paese.
Dopo la morte delle sinistre socialdemocratiche turche, negli anni '80, ha giurato fedeltà al tradizionale partito di opposizione, e non potendo più sostenere la causa operaia, si è fatto inossidabile custode del laicismo di stato.
Quando parla di politica, tornano a galla le sue radici socialiste. Come un vecchio comunista che disquisisce di lotta di classe, o come un prete che parla del demonio, se c'è di mezzo Erdogan è sicuro, preciso, non accetta mezze misure. Gli si illuminano gli occhi e, paradossalmente, sorride. Tutto il mondo che ruota attorno alla cosiddetta "Destra Religiosa". Non è solo una nemesi, ma una necessaria antitesi per cui obbligatoriamente passa l'identità ideologica delle "Sinistre Repubblicane". È il Drago di San Giorgio, è Berlusconi per Di Pietro.
Sua figlia Merve non risparmia gli aneddoti.
"Una volta, dopo il matrimonio, mio padre è andato di venerdì alla moschea di Istiklal Caddesi. Era fuori, insieme agli altri fedeli che non avevano trovato spazio all'interno, si era tolto le scarpe ed aveva steso il tappetino. Dopo le preghiere rituali, l'imam ha cominciato ad attaccare nella predica la costituzione, il laicismo, le riforme di Ataturk. Mio padre ha rimesso le scarpe, ha preso il tappeto e se ne è andato. È stata la sua ultima volta in moschea".
"Mio padre - continua Merve - non ha mai osservato il Ramazan. Una volta, è stato trasferito per lavoro nei quartieri fuori dalle mura, dalle parti di Topkapi. Lì vivono soprattutto emigrati curdi, tutta gente religiosissima. Dopo tre giorni che non mangiava se non a cena, perché tutti i ristoranti erano chiusi, ha ingoiato il rospo ed ha cominciato ad adattarsi ai ritmi dei fedeli. Me lo ha detto mamma - conclude - lui non ama parlarne".

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