domenica 17 ottobre 2010

UvAmara

La parola ai testimoni (ii)
di Luca Vescovi*

Autunno.
Il rosso delle foglie e l'imbrunire dei vitigni sanciscono il termine del periodo della vendemmia. Quest'anno più di altri è stata particolarmente sofferta da piccoli produttori.
Con l'amaro in bocca mi accingo a vedere ogni anno decrescere la remunerazione del "raccolto" rispetto richieste sempre più costrittive ed addirittura un rincrescersi dei costi.
Spesso sento dire: "Ne vale la pena?". Oggettivamente a memoria d'uomo, facendo un balzo indietro di vent'anni, ricordo il momento della vendemmia come un momento di grande festa: le donne preparavano taglieri di affettati, pane, formaggio, vino per la pausa del mezzogiorno consumata al di sotto delle pergole o su tavole improvvisate ed imbandite. Eserciti di parenti ed amici che si ritrovavano in questa giornata per celebrare il raccolto. L'odore dell'uva, le mani appiccicose. Viti cariche di grappoli lucenti...
Da allora, una sorta di maledizione.
Un gioco di speculazione al ribasso che vede deteriorarsi gli sforzi di chi produce in fasce collinari che vanno da 200 a 700 metri sul livello del mare, terreni in pendio, calcarei, dove la vite è bassa e la raccolta avviene a mano e trasportata solo alla cantina con il trattore. Eppure la soglia dell'euro al kg pare solo un lontano ricordo. Oggi ci si posiziona sui 55 euro/quintale per la produzione di chardonnay. Con una produzione di quaranta quintali, ammettendo che l'uva sia conforme al disciplinare del Consorzio, si andrebbe a percepire 2200 euro, se il Consorzio fosse in attivo, con l' impossibilità di andar a vendere presso altri consorzi il proprio prodotto se non pesantemente deprezzato, o addirittura rifiutato. Quando si tratta di pagare, i bilanci sono sempre in rosso ed i soci devono pagare una parte del percepito come "sanatoria " del debito... Una burocrazia allucinante.
Di quel guadagno lordo di cui sopra, tolte le spese di gasolio, tolte le spese di trattamento delle vigne, almeno sette durante la coltivazione e del costo di minimo un centinaio di euro l'una, si va ad assottigliare di molto l'esiguo compenso da cui ormai non si vanno nemmeno più a calcolare le ore di lavoro che ci si mette. Durante le vendemmie vengono fatti controlli a tappeto e le pratiche per regolarizzare dei lavoratori per le stesse fanno diventare il rurale e burbero contadino, un burocrate del superfluo... E questo fa male a chi, magari, deve fare marcire la propria uva sui vitigni poichè il prezzo è così declassato da non permettergli matematicamente di andare in pari con un'eventuale vendemmia. Altri sono costretti a rimuovere picche non mature per avere un minor raccolto con maggior gradazione, altri sono vessati dall'egemonia dei consorzi che si vedono accettare o meno quantitativi di prodotto per ripicche o motivazioni assurde. Sarebbe urgente che la Regione Trentino, ed anche Roma Capitale non dovrebbe esserne del tutto estranea, convochi un tavolo per trovare nuovi strumenti per i contratti, e che venga fissato un prezzo su lungo periodo che garantisca un "reddito": non si può partire a produrre con l'angoscia del "se fosse".
Il mestiere del contadino è legato alla terra, alle radici, alle tradizioni. La vendemmia è un pezzo della mia terra che ha preso un connotato di dubbio ed incertezza: una concezione ossimorica rispetto la terra che i miei avi hanno calcato e per cui io stesso ho gioito in passato.
I trentini sono chiusi e duri come le loro montagne... ma a poco a poco questa situazione va sgretolando il loro credo.

*Luca Vescovi è un collaboratore familiare agricolo

Nessun commento:

Posta un commento