domenica 10 ottobre 2010

Abbiamo perso la memoria del silenzio

Il fucile (vi)

di Gian Piero Travini

Breve intervento.
Solitamente provo a parlare di politica, ma piuttosto che soffermarmi sulla divertente nomina di Romani a ministro per (la semplificazione del)lo Sviluppo Economico, mi sostituisco all'Isegoreta e provo a ricordare due visioni che abbiamo perso.
Il silenzio.
Gli applausi alle bare con dentro corpi gonfi d'acqua, in uno stadio che sa tanto di mausoleo mediatico, servono solo a confermare che la "corruzione" di una vicenda tragica ha radici profondamente piantate nell'animo degenere di un'Italia che cresce in un'ignoranza e in un'accidia spaventose.
Prendo in prestito un pensiero di Stefano Andreoli, meglio conosciuto come Stark nel mondo dei blogger: «È come se il silenzio, in commemorazioni così poco "private", ci facesse orrore». Ci fa orrore perché è nel silenzio che ci ricordiamo che ognuno di noi è fallibile. Che ognuno di noi è giudicabile. La gara a chi applaude di più, all'addolorato, la gara a chi "partecipa" di più al prime-time è seconda solo a quella per l'indignazione e la condanna.
Abbiamo perso la memoria del silenzio.
Gli american gods nostrani, per rubare da Gaiman, hanno creato il bisogno di divenir notizia. Anche a fin di bene. Di lasciare che il riflesso di noi stessi, filtrato dal media e catalizzato da milioni di nostri simili, si costituisca parte di noi stessi. Oltre Jung. Oltre Baudrillard.
Abbiamo permesso che un concetto semiotico usato per spiegare un fenomeno, l'iperrealtà, divenisse parte di noi stessi e continuasse a fungere da modello. Abbiamo esasperato noi stessi. Non ci è andato bene d'esser somma degli "io" percepiti dagli altri. No. Abbiamo chiesto al media, al Behemoth della passività, di imporci una sua visione semplificata di quello che gli altri conosceranno di noi stessi.
E la madre è dignità incrollabile. Quando in realtà non ha avuto il tempo, ancora, di riflettere a pieno su quello che è accaduto. E il vero dramma è che ha legittimato lei stessa tutto. Ha scelto di entrare nel prime-time. E il prime time ha concesso la stessa pietà che lo zio ha concesso alla nipote. E sta abusando della madre, ora che è morta dentro, come lo zio ha abusato della nipote, morta e basta.
Questo è il mostro che dal 1981, da Vermicino, la nostra ignoranza ha contribuito a generare.
Un mostro deviante e deviato.
Un mostro che continua a generare aborti immondi e continua a servirceli creando altri mostri per sfogare i nostri istinti rabbiosi invece che concentrarci sul vero male.
Il male di vivere.
Il male del comune più povero della provincia di Taranto, secondo uno studio del Ministero dell'Interno del 2006. Un comune in crisi demografica, che fronteggia ancora la modernità con le acque nere scoperte e che da anni cerca di imporsi sul vicino comune di Manduria per l'annessione di parte del suo territorio per ottenere uno sbocco utile al turismo sullo Ionio.
E se la "bestia", l'orco, il "mostro" o come vi pare chiamarlo nasca in condizioni di tragedia, poco importa. Diamolo al boia.
Il boia mediatico non è abbastanza, per far tacere il male dell'impotenza dentro di noi.
La cura del dolore è meglio della prevenzione della presa di coscienza.
Sono passati 500 anni dalla Confraternita della Misericordia del Rione Cattedrale di Asti, da quando il più grande sentimento cattolico è stato sdoganato dai laici, ripulito dagli orpelli di falsi papismi, e integrato nei diritti doveri dell'individuo. E 500 anni sono troppi.
Abbiamo scordato cosa significhi il perdono laico.
Abbiamo scordato cosa significhi riflettere in silenzio sull'effetto, ma anche agire con vigore sulla causa.
Stiamo prendendo la via più facile.
Stiamo lasciando che chi crea mostri faccia di noi mostri più tremendi. Mostri che NON pensano per scelta.
La nostra tragedia interiore, la passività che stiamo mostrando ad un secolo di pensiero post-moderno, ci sta consumando.
Ed è solo colpa nostra se quello che rimane è uno stadio che applaude, un mostro alla gogna e un cadavere sodomizzato sotto terra.
Perché ci siamo scordati che è solo nel silenzio che lo stadio smette di esistere, che il mostro diventa il malato, ignorante, colpevole uomo Michele Misseri e che il cadavere sodomizzato ritorna la ragazza Sarah Scazzi. Vittima tre volte di chi ha abusato e abusa della sua vita.
Del suo assassino.
Del dio media.
Di noi stessi.
Questa volta non sparo nessun colpo: provate a spararlo voi, se ancora avete coscienza di ciò che siamo.

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