lunedì 11 ottobre 2010

Millenovantacinque - parte due: alle foci dello Yarmuk

Le sei frecce (iv)

di Niccolò Fattori

Tempo di caricamento 0,12 secondi. 704.000 risultati. È quello che succede usando Google per cercare "invasione islamica" (la umma). Finora nessuno dei siti esaminati, tra vaneggiamenti e riferimenti alle crociate, cita la battaglia dello Yarmuk, o Nicopoli.
Dovrebbero.
Informarsi per resistere.
Se non altro, ne trarrebbero degli esempi su cui riflettere, degli episodi da inserire nelle loro apologie o nei loro allarmatissimi articoli. Nello specifico, la battaglia del fiume Yarmuk fu combattuta nel 636 dall'esercito dell'imperatore romano Eraclio e dalle prime armate dell'Islam. L'esercito imperiale, spossato da una decennale campagna in Persia, fu spazzato via dai maomettani, che si impadronirono una volta per tutte di Siria, Libano e Palestina.
Settecento anni dopo, nel 1396, i centomila cavalieri cristiani radunati da Benedetto XIII furono sorpresi dagli ottomani e massacrati senza pietà alle porte di Nicopoli.
«Fu il primo episodio del secolare scontro tra Europa cristiana ed impero ottomano. Non fu un inizio felice» scrive il visconte di Norwich.
Lo Yarmuk e Nicopoli sono tappe, tappe poco conosciute della formazione di un complesso psicologico europeo, fiorito ed esploso nei secoli della rivoluzione industriale, che ha sempre più visto nel mondo musulmano, nell'oriente "l'altro", portatore di tutti quei difetti che il "nostro" progresso e la "nostra" civiltà hanno dolorosamente eliminato lungo i secoli.
Una fantasia orientalista di Giulio Rosati
Fonte: wikipedia.org
Così, man mano che l'Europa si arricchisce, il Levante diventa più povero. L'Europa cristianissima e impegnata nei reciproci roghi di calvinisti e luterani teme l'Oriente dissoluto. L'Occidente viziato da sé stesso approfitta di un oriente volitivo per improvvisare una ricerca dei propri coglioni smarriti.
I vizi siriani che facevano tremare di terrore e desiderio i proconsoli repubblicani pian piano scompaiono, le immagini art noveau degli harem ottomani sbiadiscono di fronte alle fotografie dei guerriglieri e degli imam incattiviti che alimentano a roghi di bandiere un furore anti-europeo destinato a sottomettere la nostra civiltà alla tirannia del loro membro metaforicamente eretto, nella mente di un novello Pietro l'Eremita.
Così, armi alla mano, l'Occidente reagisce.
on. Roberto Calderoli, l'inventore del "Maiale Day"
Fonte: ziubustianu.blog.katweb.
Si affida all' on. Calderoli, un Goffredo di Buglione bergamasco per sconsacrare il terreno destinato ad una moschea, facendoci trotterellare un coraggioso maiale giudaico-cristiano, con un pessimo gusto nel vestire.
Mette in guardia la cittadinanza osservante dai rantoli di un sociologo franco-algerino che vuole istituire "le brigate della fede musulmana".
Ci protegge dal pericolo islamico già profetizzato da Nostradamus: nel 1998 Roma sarà conquistata dai musulmani (meglio "ladrona" che maomettana?)!
Non è successo nulla nel 1998, e ci siamo potuti vedere in santa pace la vittoria francese ai mondiali.
Ma i mille parlamentari paranoici, ministri tragicomici e siti internet apocalittici non rappresentano che l'ultima manifestazione intellettuale (in più di un senso) di quel "complesso del crociato" che costituisce la prova al tempo stesso più latente e più tenace di quelle radici comuni europee tanto strumentalizzate dai politici.
Mettendo in campo personalità più illustri ed argomentazioni più raffinate: un nome a caso è quello di Alexis de Tocqueville, fulgida eccezione "agnostica" nell'universo liberale degli intellettuali mangiapreti del diciannovesimo secolo.
Tocqueville fu il classico cristiano educato da religiosi che "entra nel mattatoio e ne esce vegetariano", attanagliato da crisi di fede tra l'età adulta e l'adolescenza. Ebbe il buon senso di non dimenticare mai come una fede nel trascendente, qualunque fosse, potesse fornire una sorta di "terza gamba" (il
Alexis de Tocqueville, filosofo francese dell'800
Fonte: diagoal.blogspot.com
termine sembra andare di moda, oggi) alla struttura, ancora per l'epoca sperimentale, dello stato liberale. Fu un acutissimo analista delle meccaniche sociali e culturali del suo tempo, che seppe prevedere, complice la natura aristocratica, alcuni dei rischi umani insiti in un sistema democratico. Sono molto interessanti anche alcuni dei suoi studi sulla religione, specie quelli attorno all'Islam, raccolti sul campo durante diverse permanenze in Algeria.
I suoi giudizi più severi vengono fuori nella corrispondenza privata, in questo caso una lettera a Richard Milnes. Era il maggio 1844, sono gli anni del Fardello dell'Uomo Bianco «Voi [Milnes; n.d.N.F.] mi sembrate tornato dall'Oriente come Lamartine, un po' più musulmano di quanto non convenga. Non so perché ai nostri giorni molti spiriti diversi mostrano questa tendenza. [...] Nella misura in cui ho conosciuto meglio questa religione, ho meglio compreso che è soprattutto da essa che deriva la decadenza che attenta sempre più sotto i nostri occhi il mondo musulmano. Quando Maometto non aveva avuto altro che la colpa di unire intimamente un corpo d'istituzioni civili e politiche ad una credenza religiosa, in modo da imporre al primo l'immobilità,[...] ne ebbe abbastanza per destinare in un momento i suoi seguaci subito all'inferiorità ed in seguito alla rovina inevitabile. La grandezza, e la santità del Cristianesimo è di non aver tentato che di regnare nella sfera naturale delle religioni abbandonando tutto il resto ai liberi movimenti dello spirito umano».
Pur nell'innegabile acume (Tocqueville ascrive la sostanziale immobilità delle istituzioni politico-religiose musulmane alla diretta derivazione di queste ultime dal trascendente) lo storico francese mostra nell'ultima frase quanto sia radicata la convinzione di un Europa da sempre Civile, da sempre Buona, in cui dall'alba dei tempi Trono e Altare convivevano in una felicissima separazione domestica. Sembra che la religione, messasi da parte in modo completamente autonomo, abbia abbandonato la Storia al libero gioco delle istituzioni secolari.
Non è vero.
Nella sua grandezza, Tocqueville dimentica la "dottrine delle due spade" (formulata da Papa Gelasio nel 494: i poteri del Papa e dell'imperatore erano entrambi dovuti a Dio, mettendo di fatto l'imperatore sotto l'autorità ecclesiastica); un Papa, Giulio II, in prima linea durante l'assedio di Bologna; i vescovi feudatari dell'età di mezzo e i cardinali statisti dei secoli barocchi. Ci fa capire che il cristianesimo ha contribuito allo sviluppo dinamico dell'Europa, ma dimentica che questo dinamismo avrebbe avuto luogo anche grazie agli slanci ideali promossi nei secoli dai potentati di ogni ordine e grado che riunissero nelle loro mani i poteri del secolo e dello spirito. È stata l'inscindibile presenza della fede cristiana nei secoli a muovere e ad agitare il vecchio continente.
Sono stati I cristianesimi a dividere l'Europa, a porre le basi per la divisione razzista in mediterranei e germanici ancora presente nei manuali militari di fine '800, a creare le tre macroregioni "qualitative" in cui è classificata l'UE, le varie Europe occidentali, meridionali ed orientali, in cui gli stati entrano ed escono a seconda della propria ricchezza e di vaghi criteri "democratici".
Il Cristianesimo, quello antico, quando ancora ce ne era solo uno, forse due, ha inculcato nelle menti degli europei il furor crucesignatus da cui deriva in prima istanza la convinzione di essere nel Giusto, che li ha portati in cinque secoli ad avere le mani in pasta in tutto il mondo, dopo e durante gli innumerevoli conflitti interni.
Ma ora, ora che l'Europa ha finalmente trovato pace ricchezza ed unità, il "complesso del Crociato" ha lentamente perduto vigore, fino a diventare invisibile, latente. Ma c'è e sempre ci sarà un "altro" cui il nostro inconscio ascriverà i nostri peggiori vizi, qualcuno che, antitetico al nostro modo di pensare, sarà capace di scatenare paure incontrollabili: siamo tutti crociati.
Sia pure in nome del Papa, della consustanziazione o delle libertà democratiche.

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